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Cuito Cuanavale:
l’inizio dell’indipendenza africana
La Repubblica Popolare dell’Angola conservò la sua indipendenza e la Namibia la conquistò, ma soprattutto fu eliminato il sistema di apartheid in Sudafrica liberando milioni di esseri umani da uno dei regimi più crudeli ed umilianti del mondo.
L’epica battaglia di Cuito Cuanavale, un luogo remoto nel sud dell’Angola alla quale parteciparono combattenti angolani e i cubani internazionalisti, cambiò veramente il corso della storia dell’Africa e fu una prova di coraggio e d’eroismo da parte del popolo cubano nell’Operazione Carlotta, che aiutò e non poco, alla liberazione delle popolazioni africane.
Nessuno avrebbe mai pensato che i cubani potevano andare a combattere in Africa! Non si era mai visto un paese povero e del terzo mondo andare a combattere dall’altra parte dell’oceano...ma per noi gli africani sono fratelli, ha detto Jorge Risquet, uno dei migliori conoscitori della presenza cubana in Africa.
Cuito Cuanavale fu una grande vittoria contro un nemico potente che aveva aviazione, artiglieria e mezzi blindati.
I cubani lottarono con la guerra di guerriglia, usando le mine e quando il nemico vide saltare i suoi carri blindati si rese conto che non avrebbe mai vinto quella battaglia, ha detto Jorge Risquet parlando nel XXX Anniversario della Repubblica dell’Angola, nella sede della OSPAAL.
Erano presenti anche l’incaricato commerciale dell’ambasciata angolana, l’ambasciatrice della Namibia, il generale cubano Harry Villegas - Pombo - che ha partecipato a tutte le battaglie di liberazione, dalla Sierra Maestra alla Bolivia a fianco di Che Guevara.
Risquet si è commosso ascoltando il racconto dettagliato di Villegas molto interessante, che ha parlato della partecipazione cubana alle lotte delle nazioni africane e soprattutto alla battaglia per l’indipendenza dell’Angola al fianco delle forze armate popolari per la liberazione del paese contro la UNITA, la controrivoluzionaria Unione Nazionale per l’Indipendenza Totale dell’Angola.
E fu nell’ottobre del 1987 che un’offensiva della FAPLA contro la UNITA fece arrivare i militari sudafricani a Cuito Cuanavale, a 250 Km da Menongue, il capoluogo della provincia di Cuando Cubango.
Le poderose truppe sudafricane volevano dominare lo spazio aereo ma nonostante la loro concentrazione di mezzi furono fermate e battute.
Dapprima fu resistenza e poi l’offensiva che fece ritirare le truppe razziste e permise le conversazioni internazionali che permisero anche alla Namibia di ottenere la propria indipendenza.
L’Africa è Cuba e Cuba è Africa e basta guardarci intorno per vedere quanto sono stretti i nostri legami, ha detto Risquet che aveva tra le mani la copertina di Granma Internacional in italiano con la fotografia della partenza dei vittoriosi, dei cubani, con i camion da Luanda, circondati da una folla di angolani esultanti.
L’amicizia Cuba - Angola è esemplare e lo sarà per sempre...la sconfitta delle truppe razziste provocò finalmente la sconfitta del regime di Pretoria e si pose così fine alla vergognosa applicazione dell’apartheid in Sudafrica.
Operazione Carlotta:
Angola, Namibia e la fine dell’apartheid
30 anni fa quasi mezzo migliaio di militari cubani partiva verso Angola per contribuire a preservare l’incipiente indipendenza di questa nazione e la sua integrità territoriale.
Quell'epopea ha contribuito, alla fine, alla vittoria dell’Organizzazione del Popolo dell’Africa Sud occidentale (SWAPO), all’indipendenza della Namibia e a mettere fine al regime dell’apartheid in Sudafrica. L’11 novembre del 1975 era la data fissata per la proclamazione della nascita della nuova repubblica africana, dopo secoli di colonialismo portoghese.
Da subito gli interessi stranieri, con la complicità d’organizzazioni controrivoluzionarie vincolate alle potenze coloniali, al Sudafrica razzista e all’Agenzia Centrale d’Intelligenza (CIA), si prepararono a sabotare la vittoria del Movimento Popolare per la Liberazione dell’Angola (MPLA) e a far fallire l’indipendenza.
Il Fronte Nazionale per la Liberazione dell’Angola (FNLA), alleato con lo Zaire di Mobuto Sesse Seko e manipolato dalla CIA e l’Unione Nazionale per l’Indipendenza Totale dell’Angola (UNITA), nel suo ruolo di mercenario del Sudafrica, si misero contro il MPLA e ordinarono l’assassinio dei suoi membri.
Agenti dell’Agenzia Centrale d’Intelligenza (CIA) parteciparono, sul terreno, alle operazione e quale conferma della complicità di Washington con il sistema dell’apartheid Henry Kissinger, in persona, dirigeva l’azione della CIA in appoggio al FNLA e UNITA.
Si preparava così l’invasione straniera ancora prima d’essere proclamata la Repubblica Popolare d’Angola (RPA); esteso territorio di più d’un milione di chilometri quadri situati nella regione occidentale dell’Africa australe, a migliaia di chilometri dall’Avana.
Così si lanciavano carri armati su Cabinda, separata dall’Angola da una frangia di territorio dallo Zaire, con l'intento di spezzarla e appropriarsi delle sue ricchezze petrolifere. Dalla metà di ottobre truppe zairesi con blindati, mercenari portoghesi, forze del FNLA, ufficiali sudafricani, dotati di armamento pesante, e paramilitari della CIA minacciavano, dal nord, Luanda.
La capitale angolana era anche l’obiettivo dell’operazione Savannah, lanciata dal sud dall’esercito dei razzisti sudafricani con una brigata meccanizzata, spalleggiata da mercenari. Questo raggruppamento iniziò un rapido avanzamento verso il nord e occupò città importanti, approfittando della supremazia in blindati e artiglieria. Gli invasori, per la prima volta, trovarono una resistenza organizzata nei giorni 2 e 3 novembre. Istruttori militari cubani e le loro reclute angolane fecero fronte alla colonna blindata sudafricana. Per la prima volta fu sparso sangue cubano.
Il piano concertato dal nemico era impedire la proclamazione della RPA sotto il governo presieduto d’Agostino Neto. L'intento era sconfiggere le piccole e deboli unità del MPLA.
Davanti all’imminente aggressione straniera e ai piani per congiurare contro la rivoluzione angolana, il MPLA sollecitava l'aiuto di Cuba e di altri paesi. La risposta antillana non si fece aspettare.
Negli ultimi mesi del 1975 un piccolo gruppo di ufficiali delle Forze Armate rivoluzionarie (FAR), ricevette all’Avana il compito di preparare gli effettivi dell’MPLA per respingere l’aggressione e di prepararsi ad offrir loro consulenza durante i combattimenti.
Si metteva così in marcia l’Operazione Carlotta, in omaggio ad una schiava africana, che si presupponeva fosse arrivata a Cuba dall’attuale territorio angolano e che aveva capeggiato un’insurrezione durante la colonizzazione spagnola. Da quel momento cominciarono a crearsi, nella maggiore delle Antille, centri d'addestramento e preparazione per il personale internazionalista cubano che sarebbe andato in quel paese e nel quale, alcuni, avrebbero versato il loro sangue.
I cubani contribuirono certamente a preservare l’indipendenza dell’Angola. Però insieme ai combattenti angolani e namibiani e all’azione dei patrioti del Congresso Nazionale Africano, cambiarono la storia del cono sud del chiamato continente nero.
Le battaglie di Cabinda, Quifandongo, il Fronte Nord, Cangamba, Cuito Canavale, tra altre, sono state combattute con immenso coraggio e anche aiutarono l’indipendenza della Namibia. Quei colpi fecero tremare le basi del sistema dell’apartheid e i ferri che racchiudevano Nelson Mandela, che successivamente diverrà il primo presidente del nuovo Sudafrica.
I cubani andarono in Angola per tener fede ad un principio, l’internazionalismo, del quale si sono stati beneficiati nelle lunghe lotte indipendentiste. L’Operazione Carlotta sarebbe durata 15 anni e mezzo, fino al 25 maggio del 1991, data in cui gli ultimi combattenti cubani sono tornati in patria.
Per quella lontana terra passarono circa 300 mila internazionalisti caraibici, nella maggior parte umili cittadini di diverse professioni civili, che risposero volontariamente alla chiamata alle armi. Lì non cercarono petrolio né diamanti. Da là riportarono solo il senso del dovere compiuto e i loro morti, ai cui nomi, oggi, sono intitolate scuole, ospedali e centri lavorativi.
I nipoti di Carlotta sono stati fedeli alla loro consegna.
Riconoscimento ai marinai internazionalisti
"Vecchio, vai in Angola e fai il tuo dovere, che io resisterò!" Fu questa la frase d’incoraggiamento della moglie malata del marinaio Pedro Juan Armona, prima della sua imminente partenza, la frase che lo accompagnò nei suoi quattro viaggi nel continente africano e nei difficili giorni in cui vennero perseguitati in alto mare.
"Di fronte al pericolo di attacco, decidemmo tutti di affondarci insieme alla nave invece di consegnarla al nemico", ha assicurato Pedro, che ritiene quei giorni il suo tesoro più pregevole come rivoluzionario.
Storie simili sono state i temi d’obbligo dei più di 300 ufficiali e marinai dell’iniziativa marittima-portuale e della Flotta Peschereccia dell’Alto che, riuniti nel Parco Maceo della capitale, hanno ricevuto un Diploma di Riconoscimento per la loro partecipazione allo spostamento di truppe e tecnica in Angola ed Etiopia.
La perizia e la professionalità di questi marinai è stata sottolineata da Carlos Manuel Pazos Torrado, ministro dei Trasporti, che ha segnalato che la fermezza di quegli uomini e donne rese possibile il puntuale arrivo dei combattenti e dei mezzi in Angola e agevolò la vittoria in questo paese fratello.
Adria Hernández Roque, cameriere, ancora ricorda il rumore assordante delle granate che, per precauzione, facevano esplodere vicino alle navi.
Per Mario Cruz Galeano, marinaio di coperta, il momento più teso fu essere testimone dell’operazione al cuore a un membro dell’equipaggio, che gli salvò la vita.
Tutti e due, nel nome dei loro compagni, hanno dedicato questo riconoscimento a coloro che morirono nella difesa dell’internazionalismo e ai nostri Cinque Eroi.
Erano presenti all’omaggio il viceammiraglio Pedro M. Pérez Betancourt, capo della Marina Militare Rivoluzionaria; Alfredo López Valdés, ministro dell’Industria Peschereccia; Jorge Risquet Valdés, membro del Comitato Centrale, Jorge Luis Dorta, vicecapo del Dipartimento del Turismo e del Trasporto del Comitato Centrale; il generale di brigata Harry Villegas Tamayo, vicepresidente dell’Associazione dei Comabtenti della Rivoluzione Cubana (ACRC) e Alberto Marchante Fuentes, segretario generale del Sindacato Nazionale dei Lavoratori della Marina Mercantile, dei Porti e della Pesca.
Angola: trent’anni di sovranità
L’indipendenza dell’Angola, proclamata l’11 novembre 1975 e la sconfitta delle truppe d’invasione del Sudafrica dell’apartheid avvenuta nello stesso mese, dimostrarono al mondo che la supremazia bianca era solo un mito.
Nella cerimonia svoltasi giovedì nella sede dell’Istituto Cubano di Amicizia con i Popoli (ICAP) per commemorare i 30 anni da quella dichiarazione di sovranità Jorge Risquet Valdés, membro del Comitato Centrale del Partito Comunista di Cuba (PCC), ha evocato i giorni precedenti a quella data, nei quali il contributo di Cuba e la decisione dei combattenti angolani respinsero le aggressioni che il regime fantoccio di Mobutu Sese Seko, il governo razzista di Pretoria e i gruppi mercenari, tutti quanti sotto la tutela finanziaria di Washington, lanciarono dallo Zaire.
L’eroismo dei cubani e degli angolani, ha sottolineato, venne riconosciuto perfino dagli avversari sudafricani, che definirono "furiosi" i combattimenti con le forze internazionaliste.
L’ambasciatore della Repubblica d’Angola, Antonio José Condesse de Carvalho, ha precisato che "fu nel mio paese dove l’aiuto di Cuba acquistò una dimensione politica e umanista senza precedenti, in Africa e nel mondo" e ha espresso il suo omaggio "a tutti gli uomini e le donne che in Angola scrissero pagine di eroismo".
"Con la stessa determinazione che conquistammo la nostra indipendenza", ha aggiunto, "il popolo angolano conquistò la pace e saprà vincere le grandi sfide per la ricostruzione e la riconciliazione nazionale allo scopo di raggiungere un’Angola in pace, unita, con amore e fiducia".
Nella cerimonia commemorativa erano anche presenti il presidente dell’ICAP, Sergio Corrieri, e Rodolfo Puente Ferro, presidente dell’Associazione di Amicizia Cuba-Africa, così come rappresentanti del corpo diplomatico africano accreditato a Cuba, membri delle Forze Armate Rivoluzionarie e del Ministero degli Interni.
Cangamba: una pietra miliare del coraggio
L'operazione Carlotta, per la quale migliaia di cubani contribuirono all'indipendenza ed l’integrità territoriale della Repubblica Popolare dell'Angola, registrò pietre miliari di coraggio e impegno, come è successo nella località di Cangamba.
Il 2 agosto 1983 le forze dell'Unione Nazionale per l'Indipendenza Totale dell'Angola (UNGHIA) attaccarono il villaggio di Cangamba, posizione che gli faciliterebbe la posteriore occupazione dell'importante città di Luena.
L'UNGHIA, con vincoli da prima dell'indipendenza coi colonialisti portoghesi, si mise a disposizione della CIA e dei razzisti del Sudafrica dell'apartheid.
Il suo capoccia, Jonas Savimbi, pretendeva proclamare Luena la capitale della sua allegata Repubblica Nera.
Una sfrenata valanga di fuoco composta da 16 battaglioni irregolari, sei batterie di artiglieria, mortai di 60, 81 e 120 millimetri, razzi terra-aria caddero sui ridotti effettivi delle forze armate Popolari di Liberazione dell'Angola (FAPLA) e gli internazionalisti cubani.
Circa 818 combattenti angolani e 92 cubani difendevano il posto, dove, per 10 giorni, scrissero un episodio di coraggio.
I difensori non avevano armi antiaeree né artiglieria pesante, perché costituivano una forza leggera di lotta contro banditi.
La truppa unita di entrambe le nazioni, gemellata nell'Operazione Carlotta, sopportò l’attacco a dispetto della superiorità di effettivi ed armamenti degli aggressori che beneficava gli attaccanti in proporzione di uno a sei.
Durante il confronto di Cangamba il nemico usò metodi regolari di lotta ed utilizzò strategie per ingannare il suo avversario, come le cartucce e proiettili di doppia esplosione, col fine di simulare attacchi di fronte e alla retroguardia.
Ugualmente misero in pratica altri inganni con l'impiego di uniforme FAPLA e l'avvicinamento di mercenari bianchi che inalberavano bandiere angolane e cubane, per simulare l'arrivo di rinforzi.
Nonostante le sue trappole, l'atteggiamento delle truppe della nazione africana e l'isola caraibica fu un fattore sfavorevole per gli attaccanti. L'esempio personale e la prodezza dei combattenti permisero di affrontare e sconfiggere le unità di Savimbi.
Nella loro rapida fuga gli effettivi dell'UNGHIA lasciarono sul campo di battaglia a centinaia di morti che sommati ai feriti elevarono oltre a due mila il numero totale di perdite.
Come in molte azioni di quelle realizzate in territorio angolano, in Cangamba caddero preziosi soldati in difesa di questo paese e la nobiltà dell'internazionalismo cubano.
La vittoria dimostrò la superiorità morale della causa dell'Angola e Cuba, perché in questo piccolo villaggio si difese non solo un pezzo dalla terra di Agostinho Neto, bensì la convinzione, l'onore, la dignità e la fermezza di principi di due paesi.
Omaggio agli internazionalisti cubani caduti in Africa
Antonio Jose Carvalho, ambasciatore angolano a Cuba, ha deposto un omaggio floreale nel pantheon dei caduti in difesa della Patria, dove riposano gli internazionalisti cubani morti in Africa.
L’omaggio nel cimitero di Colón di questa capitale ha dato inizio al programma di commemorazioni della missione diplomatica africana per il 30º anniversario dell’indipendenza di quella nazione, proclamata l’11 novembre 1975 dopo gli Accordi d’Angola, firmati nel gennaio di quell’anno.
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