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«Prima ho lavorato come operaia anche in un allevamento di maiali. Diciamo che, visto ciò che faccio ora, non è poi così diverso». Daria (nome di fantasia) si prende gioco delle difficoltà con un umorismo nero tipicamente toscano. Dimostra 30-35 anni. Dice di vivere a Padova: da mesi, a giorni alterni, con la sua auto si ferma lungo via del Santo a Limena, in attesa di clienti. Daria è una delle quattro-cinque donne italiane che nell’ultimo anno hanno scelto il marciapiede come alternativa alla crisi economica.
E’ questo il nuovo fenomeno. Per ora circoscritto a Limena. Non un caso: chi ha provato a vendere il proprio corpo in zona industriale a Padova è stata minacciata e ha cambiato aria. A Limena non ci sono marciapiedi «in affitto». Il racket qui è beffardamente più tollerante. Vivi e lascia vivere.
Secondo i carabinieri della stazione di Limena che monitorano quasi ogni notte le strade, sono almeno tre o quattro le «new entry» italiane alle prese con il mestiere più antico del mondo per pura necessità. Un fenomeno nuovo nel panorama della prostituzione padovana. A metà degli anni Novanta ad ogni retata finivano in caserma 20-25 ragazze soprattutto straniere. Ora a «battere» sono 7-8 donne: un paio di rumene, un’albanese, un’ucraina, due nigeriane. E qualche italiana. L’effetto dell’ordinanza del sindaco che multa i clienti ha sortito solo minimi effetti. Il bisogno di soldi adesso vale il rischio, dicono. «Le donne italiane che si prostituiscono per colpa della crisi sono tante - replica Daria - Non si notano perché molte lavorano in casa».
A Limena è dintorni si conoscono tutte e si danno una mano reciprocamente. C’è la mamma di due bimbi che esce la sera dicendo ai figli che lavora come barista in un locale notturno. La veronese accompagnata dal marito rimasto senza lavoro. La ragazza della Bassa padovana che incrocia le dita ad ogni auto che si ferma sperando che non sia un conoscente. Dicono tutte la stessa cosa: «abbiamo perso il lavoro, questa è l’unica alternativa». Ma non tutte la vivono alla stessa maniera: c’è chi fa di necessità virtù e ci ride sopra, chi ha ucciso la propria anima ed è sprofondata in un tunnel da cui non vede l’ora di uscire. Nessuna di loro, tuttavia, è in grado di trovare parole convincenti per chi non si è mai trovato con le spalle al muro. Le scelte ruotano sempre attorno ad un lavoro che non c’è più: al suicidio vero e proprio, alcune di loro hanno preferito quello dello spirito. Ma la cosa più terribile e che tutte hanno scelto di mentire ad amici e familiari.
«Nessuna vergogna - replica un’amica di Daria - Io non spaccio e non rubo. Ciò che faccio non ha nulla a che fare con la mia dignità. E l’affitto bisogna pagarlo».
E’ l’una di notte: Daria e una sua collega ucraina, 40-45 anni, si fanno compagnia e coraggio durante le notti padovane. Automunite, si fermano spesso una accanto all’altra, in un parcheggio adiacente una delle tante aziende della zona industriale di Limena. Daria si prostituisce per mettere insieme il pasto con la cena. La sua collega, invece, per dare un futuro alla figlia che «è brava a scuola» e che non sa nulla di ciò che fa sua mamma per guadagnare soldi. «Le ho detto che lavoro come badante da una signora anziana. Anch’io ero operaia fino a qualche mese fa. Ho lavorato in ditte dell’Alta padovana. Ora sono a casa». Per non gettare per sempre i sogni nel cestino, ha scelto ciò che per molti appare più che altro scorciatoia. Lei, tuttavia, giura che non lo sia. «Anch’io ho detto agli amici più cari che faccio la badante - spiega Daria - Non è la prima volta che mi prostituisco. L'ho già fatto in passato. Ogni volta che sono rimasta senza lavoro. I miei clienti? Soprattutto giovani. Età compresa fra i 20 e i 40 anni. Mai visto un anziano. Il fatto di non avere un protettore mi permette di scegliere autonomamente. Se uno non mi va non ci vado. Se sono diventata amica di qualche cliente? No. Qui a Padova è impossibile. Gli uomini sono chiusi. Pagano, fanno e se ne vanno. Tempo fa mi ero trasferita a Roma. Lì è diverso. I clienti mi portavano anche a cena».
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