“Todos somos americanos“, “siamo tutti americani”: con queste parole il presidente americano Barack Obama ha annunciato, nella giornata di mercoledì, la ripresa ufficiale delle relazioni diplomatiche con Cuba. “L’isolamento non ha funzionato – ha sostenuto in un videomessaggio – ed è il momento di un nuovo approccio“. Il Segretario di Stato John Kerry ha ricevuto il mandato di riavviare i negoziati con L’Avana, fermi dal 1961, mentre sono imminenti la rimozione di Cuba dalla black-list dei Paesi che finanziano il terrorismo e l’aumento dei collegamenti per le telecomunicazioni tra le due nazioni. Alle parole di Obama ha fatto eco, dall’altra parte dello Stretto, il presidente cubano Raul Castro, che davanti al Parlamento ha espresso “rispetto e riconoscimento” per le decisioni assunte ricordando però che resta da affrontare la questione dell’embargo commerciale e finanziario.
La svolta è arrivata dopo mesi di contatti segreti, propiziati dal governo canadese e soprattutto dalla diplomazia vaticana: entrambi i leader hanno infatti ricordato il ruolo decisivo di Papa Francesco nell’avvicinamento dei due paesi. Il pontefice ha subito manifestato il suo “vivo compiacimento per una decisione storica“, mentre “soddisfazione” per il disgelo tra i due Paesi è stata espressa dal segretario dell’Onu Ban-Ki-moon e dal premier Matteo Renzi. All’annuncio di Obama ha fatto seguito il rilascio di tre agenti cubani finora detenuti negli Usa per spionaggio. Il governo cubano ha rimpatriato “per motivi umanitari” Alan Gross, un contractor americano da 5 anni prigioniero nelle carceri cubane, ed un altro agente segreto di Washington. È stata inoltre disposta, in maniera unilaterale, la liberazione di 56 detenuti politici per i quali il governo statunitense aveva manifestato interessamento.
Le ragioni del cambio di direzione impresso alla politica degli Usa verso Cuba sono state illustrate in un documento pubblicato sul sito della Casa Bianca: lo statement rileva come la politica di isolamento, pur “intrapresa con le migliori intenzioni” si sia rivelata un “approccio fallimentare” alla questione cubana, tanto che, esattamente come nel 1961, “i Castro ed il Partito comunista sono ancora al potere”. “Abbiamo imparato dalla dura esperienza che è meglio incoraggiare e supportare le riforme piuttosto che imporre politiche che renderebbero una nazione uno Stato fallimentare”: così è stato motivato l’abbandono della linea dura in favore di un approccio più morbido che tuteli sia “il popolo cubano” che “i nostri interessi nazionali”. Tra le misure in agenda spiccano la riapertura di un’ambasciata all’Avana, la progressiva revoca delle restrizioni su viaggi e rimesse in denaro verso l’isola e la ripresa dell’import-export.
Il processo di riavvicinamento richiederà tuttavia tempi lunghi. Interpellato sulla possibilità di un suo viaggio a Cuba, Obama ha frenato gli entusiasmi. “Immagino che un giorno ci andrò, ma questo è ancora un regime che opprime il suo popolo”, ha ammonito. Anche Raul Castro ha ritenuto opportuno, tramite l’agenzia stampa nazionale Acn, ribadire come il nuovo corso delle relazioni Usa-Cuba non intacchi minimamente i valori per i cubani “hanno combattuto attraverso un secolo, versato sangue e corso i più grandi rischi”.“Come noi non abbiamo mai chiesto agli Usa di cambiare il loro sistema politico, noi esigeremo il rispetto per il nostro“, ha aggiunto, chiarendo che i futuri rapporti bilaterali saranno all’insegna del rispetto dell’indipendenza e della sovranità nazionale, senza interferenze nei rispettivi affari interni.
Le implicazioni politiche della scelta distensiva di Obama e Castro sono molteplici. A uscire vincitore dall’agone, innanzitutto, è sicuramente Raul Castro. Vissuto per anni all’ombra del fratello, il presidente cubano riesce ora a ottenere un risultato politico di grande prestigio – il riavvicinamento agli Usa – laddove il carismatico Fidel aveva sempre fallito. Il suo successo è reso ancora più notevole dai termini dell’annuncio di Obama, simile a una concessione: il dialogo riprende alle condizioni dell’Avana, senza alcuna clausola sui diritti umani o sulla censura. Così Raul è libero di continuare in tutta tranquillità sulla strada maestra del comunismo contemporaneo: capitalismo e mercato in regime di governo a partito unico. Ma anche l’immagine dell’inquilino della Casa Bianca, per contro, esce rafforzata da questa svolta. Il presidente, che tutti credevano ormai ridotto ad “anatra zoppa” dopo la sconfitta alle elezioni di novembre, dimostra di poter ancora incidere negli ambiti di sua competenza (gli affari esteri), e prepara così la sua eredità politica, con un occhio di riguardo ai giovani ispanoamericani, non più ferocemente anticastristi come i loro padri e quindi favorevoli a queste aperture. Peraltro la lotta al regime di Cuba, come si legge nelle pieghe nel documento, non si arresta ma cambia forma: alla strategia dell’isolamento si sostituisce quella della “pervasività”, specie a livello mediatico, con la promozione dell’autodeterminazione dei cubani attraverso web e telecomunicazioni.
Non è la prima volta che Washington tenta la strada della distensione con Cuba. Uno dei primi approcci risale addirittura al 1972, quando il presidente Nixon, che stava per incontrare Mao in uno storico vertice, cercò un contatto anche con il lider maximo. In quell’occasione, la casa Bianca si avvalse della collaborazione di Carlos Franqui, direttore del primo giornale dei barbudos, Revoluciòn, ma il tentativo di arrivare a Fidel attraverso la sua compagna Celia Sanchez fallì. Da allora le relazioni rimasero in sospeso, mentre Miami, invasa dagli esuli cubani, diventava la Mecca del narcotraffico. L’ultimo episodio di incontro-scontro risale al 1999, quando i due Stati si contesero un bambino di sei anni, ripescato tra i flutti dello Stretto: sabato quel bambino, Elian Gonzalez, era nel Parlamento dell’Avana ad applaudire il ritorno dei tre combattenti cubani.
Lo statement della Casa Bianca.
Il testo del discorso di Raul Castro.
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