Cuba sopravviverà alla fine dell’embargo?

Creato il 27 gennaio 2015 da Rodolfo Monacelli @CorrettaInforma

Cuba: dalla Baia dei Porci a Todos somos americanos, passando per 53 anni di embargo

Era il 7 febbraio del 1962, pochi mesi dopo il clamoroso fallimento della Baia dei Porci, quando il presidente americano, John F. Kennedy, con il Proclama 3447 dichiarava l’inizio del bloqueo, l’embargo su ogni tipo di scambio con Cuba.

Sono passati 53 anni, è caduto il muro di Berlino e con esso la guerra fredda, almeno nei suoi tratti più marcati. Gli Usa si sono privati di circa 1,2 miliardi di dollari l’anno, senza contare i più di 264 milioni di dollari spesi  soltanto in tentativi propagandistici con lo scopo di ribaltare il governo cubano. Cuba ha perso più di 100 miliardi di dollari da quando è stato emesso il proclama, da quando tutto ha avuto inizio. Questo è il risultato di più di 50 anni di embargo, costi esorbitanti per entrambe le parti, costi sociali ed economici pesantissimi. E Cuba è ancora lì, isolata ma salda nei suoi intenti. Accedervi è come fare un salto nel tempo, spaventoso per alcuni versi ma romantico per altri. Ed è questa la forza di Cuba, essere l’unico baluardo al mondo che ancora riesce ad alimentare quello spirito rivoluzionario ormai assopito altrove.

È il 17 dicembre 2014 quando, per la prima volta, un Presidente americano realizza e ammette che con la politica delle sanzioni gli Stati Uniti hanno perso la guerra contro Cuba: il bloqueo è riuscito a mettere in ginocchio la popolazione cubana ma ha assolto Fidel Castro da ogni colpa, attribuendo tutte le responsabilità del malessere sociale ed economico all’embargo imposto dagli Yankees.

Cuba, da parte sua, ha perso la guerra rendendo la rivoluzione lo scheletro di se stessa, tanto da non suscitare più preoccupazioni nel vicino gigante americano. L’economia è in ginocchio e il venir meno dell’Urss e la caduta del muro hanno lasciato Cuba con le spalle scoperte, in totale balia del vento anti comunista che ha iniziato ad infrangere i sogni di autonomia della piccola isola.

Unico riparo le braccia aperte di Chavez e del Venezuela, prezioso alleato strategicamente messo al tappeto dal calo del prezzo del petrolio deciso dalla politica stelle e strisce. Sembra proprio che dietro la fine dell’embargo ci sia una strategia molto più fine delle inutili sanzioni economiche, molto più elaborata, silenziosa e pericolosa, che ha come pilastro una semplice regola: se non puoi battere il tuo nemico cerca di comprarlo, in totale sintonia con le leggi del mercato, mercato al quale oggi si affaccia anche Cuba.

La rivoluzione ha attirato le simpatie di chi non si riconosceva nell’imperialismo americano, nel colonialismo europeo, nella supremazia del capitale sul buon senso e sul bene comune. La rivoluzione ha creato la sua identità in relazione al nemico, esisteva in primis come antitesi di Washington, attirando in questa rete identitaria anche quegli americani progressisti da sempre timidamente contrari alla politica espansionista della propria Nazione. Quello che Obama ha capito è che non solo la fine dell’embargo su Cuba lo farà passare alla storia, cancellando con un colpo di spugna i fallimenti in Siria, in Medio Oriente e in Crimea,  ma che poteva, con un’unica mossa, dare il colpo finale al castrismo, distruggendo appunto quella forza che Cuba ha ancora oggi nell’immaginario collettivo.

Eliminando il nemico la rivoluzione rimane nuda, senza più alibi per i proprio fallimenti, ed è costretta a ripensare la propria natura. In breve tempo aumenteranno viaggi da e verso l’Avana, gli acquisti di quei turisti americani che in massa si recheranno nella meta a lungo proibita (fino a mille dollari per persona, più il denaro spendibile con carta di credito), gli investimenti in immobili e in servizi, specialmente turistici, secondo l’esempio della Riviera Maya messicana. Aumenteranno i consumi e quindi la conseguente produzione di beni. Aumenteranno le rappresentanze diplomatiche, torneranno gli esuli contrari alla rivoluzione, rendendo la politica interna un terreno instabile e fertile per eventuali azioni di regime change.

Ora quello che la fine dell’embargo offre è una possibilità. La rivoluzione ha la possibilità di dimostrare davvero ciò che vale, dimostrare la sua supremazia culturale e morale. Dimostrare, infine, quello in cui nazioni come il Venezuela hanno fallito, ovvero mostrare al mondo che il socialismo può esistere anche in un solo paese. Il socialismo può essere un’isola nel capitalismo, e quell’isola può essere Cuba.




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