Foodbloggers, foodporn, recensioni, spadellamenti, coking show,
reality, programmi televisivi e radiofonici di cucina: si salvi chi può. Anche un
appassionato di cucina come me si sta accorgendo che siamo per essere sommersi
dal cibo, da chi ne parla, da chi lo fotografa, da chi lo cucina. Mi si direbbe
“ da quale pulpito viene la predica”. Sarebbe lecito, normale, scontato. Lungi da me fare un’analisi sociologica del
fenomeno, è che a volte vedo persone che non si sono mai avvicinate ad una
padella (se non per piatti di sopravvivenza) fare discernimenti culinari,
cercare di spadellare come chef consumati, preparare piatti complicati, senza
avere un’ombra di preparazione. Ma la cosa che più mi fa sorridere e, a dire la
verità, a volte anche indignare, è la faciloneria con la quale queste persone
pensano di aver capito tutto della cucina.
Non la si ama, la si scimmiotta, la si offende. L’ho sempre detto e lo dirò sempre, cucinare è
un’arte, cuocere è per sopravvivere. Non sono un professionista, ho lavorato
per qualche tempo come un professionista e ho ben capito il sacrificio fisico
che c’e’ dietro questo “mestiere” e posso assolutamente capire la diffidenza
che hanno i cuochi di frontiera, quelli che si sporcano veramente le mani, nei
confronti di tutti gli appassionati di
cucina che si definiscono nei modi piu’ disparati con il suffisso Food. Per me cucinare non è una moda, né una mania,
è solamente un modo, anzi IL modo (insieme
alla scrittura) che mi permette di tenermi a galla, ma non per scelta, per
vocazione. Una vocazione tarda,
preceduta dalla necessità di nutrimento e seguita da una forte passione,
cementata nella lettura, nella lettura, nell’esercizio e nell’apprendimento. E
se avete una passione, ricordate di assecondarla, sempre, ma se volete fare i fighi lasciate stare.
Magazine Cucina
Foodbloggers, foodporn, recensioni, spadellamenti, coking show,
reality, programmi televisivi e radiofonici di cucina: si salvi chi può. Anche un
appassionato di cucina come me si sta accorgendo che siamo per essere sommersi
dal cibo, da chi ne parla, da chi lo fotografa, da chi lo cucina. Mi si direbbe
“ da quale pulpito viene la predica”. Sarebbe lecito, normale, scontato. Lungi da me fare un’analisi sociologica del
fenomeno, è che a volte vedo persone che non si sono mai avvicinate ad una
padella (se non per piatti di sopravvivenza) fare discernimenti culinari,
cercare di spadellare come chef consumati, preparare piatti complicati, senza
avere un’ombra di preparazione. Ma la cosa che più mi fa sorridere e, a dire la
verità, a volte anche indignare, è la faciloneria con la quale queste persone
pensano di aver capito tutto della cucina.
Non la si ama, la si scimmiotta, la si offende. L’ho sempre detto e lo dirò sempre, cucinare è
un’arte, cuocere è per sopravvivere. Non sono un professionista, ho lavorato
per qualche tempo come un professionista e ho ben capito il sacrificio fisico
che c’e’ dietro questo “mestiere” e posso assolutamente capire la diffidenza
che hanno i cuochi di frontiera, quelli che si sporcano veramente le mani, nei
confronti di tutti gli appassionati di
cucina che si definiscono nei modi piu’ disparati con il suffisso Food. Per me cucinare non è una moda, né una mania,
è solamente un modo, anzi IL modo (insieme
alla scrittura) che mi permette di tenermi a galla, ma non per scelta, per
vocazione. Una vocazione tarda,
preceduta dalla necessità di nutrimento e seguita da una forte passione,
cementata nella lettura, nella lettura, nell’esercizio e nell’apprendimento. E
se avete una passione, ricordate di assecondarla, sempre, ma se volete fare i fighi lasciate stare.
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