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Cultura e comunità: il “testo” come esperienza collettiva

Creato il 05 marzo 2011 da Antonio Maccioni

Dan Blank, partendo dalla crisi delle librerie Borders, pone in questi termini la questione: “Chi lavora nel settore editoriale cosa vuol lasciare alla prossima generazione?”. Ogni giorno secondo Blank diamo forma al futuro dell’editoria, al futuro della scrittura, al futuro della lettura, a ciò che succederà al modo di connettersi tra le persone e le idee, tra le persone e gli altri attraverso la parola stampata su carta, o la parola pubblicata sullo schermo. Si tratta secondo Blank di una grande responsabilità, molto più grande di noi, e molto meno scontata di quanto si pensi. “Chi può farlo?” si chiede Blank. Chi può contribuire a un futuro positivo per i libri e l’editoria e per il suo mercato? “Possiamo farlo tu ed io, tutte le persone che conosciamo”. Noi siamo la risorsa migliore per contribuire a creare un futuro positivo per i libri. Il cambiamento nell’editoria è un peso comune, e anche se non si è responsabili del problema, si è responsabili della soluzione. “Ognuno di noi deve fare la propria parte”.
Blank ha una visione positiva, ad ogni modo, e racconta di persone appassionate e stimolanti, che hanno a che fare in qualche modo con l’editoria e la carta stampata, e con le quali ha spesso la possibilità di parlare. Ma mette in guardia. C’è da augurarsi che il loro atteggiamento sia contagioso, secondo Blank, e che ognuno faccia la propria piccola parte nella costruzione e non nella demolizione. Poi propone una serie di foto a cui dà un significato metaforico: si tratta di case in rovina. Si tratta di ciò succede e succederà se non si avrà cura della propria casa: la si potrà soltanto puntellare fino alla resa definitiva. Una crisi isolata è destinata a coinvolgere il resto, gli altri, la filiera, e a varcare immancabilmente le frontiere. È un invito alla responsabilità che si può leggere integralmente qui: Our Effects as Writer and Publishers: Creating the Future.
Pavel Florenskij, teorico della cerkovnost’ [ecclesialità] intesa – non solo in senso strettamente religioso – come presupposto fondamentale della comunità e dell’elaborazione concettuale “comune”, al di là di ogni forzatura presenta un interessante contributo all’idea di “rete” intesa come unione organica e partecipativa. Nel saggio del 1910 Lekcija i lectio, ad esempio, Florenskij distingue la lezione dal libro di testo. Intesa come un genere particolare di opera letteraria, la lezione non potrebbe essere assimilata in alcun modo ad espedienti simili alla lettura di un manuale dall’alto di una cattedra. Il rapporto tra lezioni e libro di testo è simile al rapporto tra organismo e meccanismo. La lezione non segue infatti un piano necessariamente prestabilito, è caratterizzata da naturalezza e libertà di costruzione, come un essere vivente non si sviluppa in linea retta ma è pronta a rispondere ad esigenze particolari che si evidenziano in corso d’opera. La lezione, come una passeggiata comune, riflette insieme agli uditori sugli oggetti della scienza: si interessa ai dettagli capaci di riprodurre un fenomeno generale nell’individualità, ha l’obbiettivo di suscitare la “fermentazione” dell’attività intellettuale. Sull’attività culturale intesa come dialogo, in riferimento alla riflessione tipicamente russa che richiama le questioni del multiculturalismo, Adriano Roccucci ha scritto un articolo suggestivo che si trova qui.
[Pagina Facebook dedicata a Pavel Florenskij].


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