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Cultura sorda o cultura segnante?

Creato il 09 agosto 2012 da Newfractals @NewFractals

Su una cosa sono completamente d’accordo con la Fiadda l’APIC e il comitato genitori disabili uditivi.

Questi gruppi, oltre ad opporsi al riconoscimento della LIS, si oppongono al concetto di “cultura sorda, dicendo che non si può definire una appartenenza culturale solo in base ad un deficit fisico. In effetti, al giorno d’oggi non definiamo l’appartenenza culturale neanche in base all’etnia: se un ragazzo africano viene adottato da dei genitori italiani e cresciuto lontano dal suo paese lo consideriamo “italiano” non “senegalese”, “somalo” e via discorrendo… senza guardare il colore della sua pelle (almeno, così dovremmo fare).

Proviamo a ragionare sulla appartenenza culturale dei sordi.

Cultura sorda o cultura segnante?

Sappiamo che è sordo, ma non sappiamo se è segnante.

Ci sono dei sordi che odiano la LIS. Uno di loro ha commentato su questo sito qualche tempo fa. I loro genitori li hanno convinti che se avessero imparato la LIS adesso non saprebbero parlare e quelli di loro che avevano residui uditivi migliori (o che hanno reagito meglio all’impianto cocleare) sono riusciti a cavarsela nel mondo udente e non vogliono avere niente a che fare con i sordi segnanti.

Ci sono degli udenti che amano la LIS. Alcuni hanno i genitori sordi, altri no. Possono avere lavori legati alla sordità (interpreti, assistenti alla comunicazione, ricercatori, etc…), oppure no, ma tutti hanno amici sordi, si emozionano per le vittorie della LIS e si arrabbiano quando qualcuno dice che si tratta solo di un “Linguaggio Mimico Gestuale”. Si sentono partecipi della comunità sorda segnante, anche se non sono sordi. Ci sono persino udenti che preferiscono segnare che parlare.

Chi di loro è più sordo?

Negli Stati Uniti hanno risolto il problema facendo la distinzione fra deaf (con la d minuscola) e Deaf (con la D maiuscola). Anche un udente, in teoria, può essere “Deaf”, perché con la D maiuscola si indica l’identità culturale sorda, non il deficit uditivo. Questa modo di distinguere fra “sordi d’orecchio” e “sordi di cultura” presenta quattro problemi:

  • Non è chiaro finché non te lo spiegano: una persona che non sappia nulla di sordità non riesce a capire la differenza solo leggendo la parola. E sono le persone che non sanno nulla di sordità quelle a cui dobbiamo rivolgerci se vogliamo pari diritti.
  • La differenza fra deaf e Deaf può essere ambigua nella lingua scritta (se inizio una frase con la parola “deaf” devo usare la maiuscola perché sono a inizio frase) e non può essere trasmessa nella lingua parlata (le due parole si pronunciano alla stessa maniera).
  • Anche se è facile chiamare Deaf un sordastro, ai più risulta strano chiamare Deaf un udente (anche se viene da una famiglia in cui tutti sono sordi, vive in mezzo ai sordi e fa l’interprete).
  • Non può essere usata in Italia:  in inglese si usa la lettera maiuscola per indicare appartenenza etnica/culturale (“I’m Italian”), mentre in italiano no (Sono italiano).

Come si può superare il problema in italiano, per avere una definizione di cultura legata alla sordità accettabile?

Cultura sorda o cultura segnante?

Sappiamo che è segnante, ma non sappiamo se è sorda.

La risposta ci viene data dallo stesso disegno legge per il riconoscimento della LIS che vorremo: a definire una minoranza linguistico culturale è la lingua parlata da questa minoranza. Non il colore degli occhi, della pelle o quanto bene ci sentono. La lingua che vogliamo sia riconosciuta è la LIS, la Lingua dei Segni Italiana. Ci sono sordi segnanti e sordi che invece non segnano.

I sordi che non segnano non fanno parte della “minoranza linguistico culturale” che usa la LIS. Se impareranno la LIS un giorno potranno farne parte, ma se non vogliono la LIS e non vogliono fare parte di una “minoranza linguistico culturale” non c’è motivo di confondere la gente parlando di “cultura sorda”. Perché non parliamo invece di “cultura segnante”?

Se parliamo di “cultura segnante” nessuno potrà accusarci di voler ghettizzare i sordi. Nessuno potrà accusarci di voler imporre un’etichetta ai sordi non-segnanti, che non vogliono avere niente a che fare con la LIS. Trasmetteremo un messaggio più chiaro, che tutti potranno capire. Coinvolgeremo gli udenti che vogliono essere coinvolti e non spaventeremo i genitori udenti di bambini sordi: non stiamo strappandogli i loro figli per portarli in un mondo “sordo” in cui loro non possono entrare, ma stiamo invitandoli tutti ad entrare in una grande famiglia che li accetta, in una comunità segnante in cui nessuno è escluso.

Cosa ne pensate?


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