Magazine Diario personale
Questa mattina ho incontrato due ragazzi a cui ho proposto di fare attività letterarie nei miei gruppi. Ripensando ai colloqui avuti, mi sono accorto che le mie esposizioni non sono mai uguali, tendo sempre a improvvisare, a lasciarmi trascinare dall'enfasi del momento. Cito un libro o un argomento preso a caso dalla memoria? Parto per la tangente, creo pensieri e parole all'istante, preso dall'entusiasmo per l'autore o per il libro citato. Mi rendo conto che questo rischia di farmi tralasciare alcuni punti che potrebbero essere più persuasivi di altri, eppure difficilmente so essere "calcolatore". Non avrei mai potuto fare il venditore, ma so che è importante il modo in cui mi presento, non posso fingere che non lo sia. A uno di loro ho detto: sono un uomo di "pancia", ed è proprio così. Solitamente la letteratura dalla testa passa al cuore. Per me è esattamente il contrario: prima m'innamoro del libro e poi lo conosco e apprezzo. E allora come potrei spiegare in modo razionale ciò che faccio con i libri? La risposta è semplice: non posso! Credo che se non lasciassi traspirare questo mio aspetto, risulterei un freddo intellettuale che se la tira, mentre i libri sono trasgressione e forza allo stato puro. E' giusto correre il rischio di essere frainteso da chi mi ascolta? Non lo so. In quello che faccio io non sono più bravo di altri. A volte vedo le mie lacune, i miei difetti. Ma nessuno può rimporverarmi di non amare sinceramente la letteratura e le attività che attorno ad essa ho costruito. E ho la presunzione che sia un pregio, non un difetto. Inoltre come potrei essere diverso da quello che sono? E poi diciamolo: se un infermiere si mette a studiare letteratura, un motivo deve pur esserci. Ed è uno solo: I love (love, love, love, love) Books!