La trama (con parole mie): siamo alla fine dell'ottocento, ed in Irlanda imperversano i proprietari terrieri che con gli affitti dei terreni soffocano le esistenze dei contadini. Joseph Donnelly, perduto il padre, insegue il sogno di avere una terra di sua proprietà andando in cerca di vendetta e di Daniel Christie, che possiede i campi per proteggere i quali il suo vecchio ha perso la vita.
Giunto alla tenuta dell'uomo, Joseph scopre di non essere poi così bravo ad uccidere e finisce per fuggire in America con la figlia dello stesso, Shannon, che insegue un desiderio di libertà e modernità.
Giunti a Boston e fintisi fratello e sorella, i due scopriranno il ribaltamento dei destini che li separava nel Vecchio Continente: mentre il primo, infatti, fa fortuna con la boxe e s'imborghesisce, la seconda continua a lavorare come un'operaia criticando i modi da puzza sotto il naso dei ricchi. Quando il legame che si è creato tra i due esplode, il dramma e la separazione li attenderanno al varco, per riunirli soltanto mesi dopo, in Oklahoma, in occasione della grande corsa che prevede l'assegnazione di terre a chiunque riesca a picchettare il proprio angolo di Paradiso sopravvivendo agli altri aspiranti proprietari.
Lo ammetto: ho sempre considerato dei veri e propri guilty pleasures polpettoni come Cuori ribelli.
Curiosamente, questa poco riconosciuta pellicola firmata Ron Howard non era ancora finita tra le mani del sottoscritto, ed è giunta in casa Ford principalmente grazie al contributo di Julez, che rispolverando ricordi di gioventù ed associandola alla mia cara Vento di passioni ha sollecitato questo graditissimo recupero.
Perchè se da un lato prodotti di questo genere rappresentano senza dubbio tutto il peggio che il Cinema americano ha da offrire per quanto riguarda la retorica e la grana grossa della narrazione, dall'altro il lavoro dell'ex Ricky Cunningham di Happy Days è onesto, puntuale, sentito e soprattutto autoironico, cosa che non si potrebbe affatto dire di pellicole simili spacciate per prodotti profondamente autoriali come War horse e Lincoln, che di norma hanno lo straordinario potere di farmi incazzare come un bufalo quando non riescono ad annoiarmi.
Cuori ribelli, al contrario, assume la connotazione di versione pane e salame delle stesse, e cavalcando una storia coinvolgente e volutamente sopra le righe permette allo spettatore di andare oltre anche alle peggiori brutture - i titoli di testa ed il pessimo dolly in stile "anima" conclusivo, per citarne due delle più clamorose - concentrandosi su una vicenda divertita e divertente interpretata da una coppia allora unita anche nella vita reale - curioso pensare alle vicende sentimentali di Tom Cruise e Nicole Kidman, da Giorni di tuono e Cuori ribelli fino al "definitivo" Eyes wide shut - che sfrutta proprio in questo senso il lato più provocatorio e da commedia del romanticismo, lasciando spesso e volentieri spazio agli scambi tra Joseph e Shannon in grado di originare anche le sequenze migliori del film - come le rispettive sbirciate durante la preparazione per la notte a Boston, forse addirittura il pezzo migliore dell'intero lavoro - ed alimentare l'evolversi della trama, suddivisa idealmente in tre atti tra Irlanda - la parte più raffazzonata -, Boston - il momento migliore del racconto, che stizza l'occhio non solo al già citato Vento di passioni ma anche a quello che sarà, dieci anni dopo, Gangs of New York - e l'Oklahoma - pronto a fare da cornice al consueto finalone da kolossal hollywoodiano che, ai tempi ed in questo caso, non servì a trasformare l'opera di Howard nella consueta macchina da soldi e premi che di norma finisce per essere la naturale evoluzione di questo tipo di proposte.
Ma senza soffermarsi troppo sulle questioni tecnico/artistiche rischiando di finire, volente oppure no, a fare lo snob che affibbia una bonaria pacca sulle spalle al mestierante regista di turno con fare di presunta superiorità, mi getto nelle sensazioni positive che titoli di questo genere riescono sempre a lasciare, figli di un'eredità cinematografica effettivamente larger than life ma sempre in grado di parlare ad ogni genere di pubblico ed incarnare, in qualche modo, il senso di meraviglia che per primi stuzzicarono Capolavori come Via col vento: senza contare che il piacere di godersi il divano di casa Ford tutti e tre insieme - anche se per ora per il Fordino non fa alcuna differenza - non ha prezzo rispetto al pensiero della noia d'essai patita di Julez a proposito di alcune scelte troppo estreme del sottoscritto o alle mie stesse pretese a volte decisamente maniacali a proposito delle visioni.
Un bel modo, dunque, per stare insieme e godersela, come un pomeriggio in cui il Cinema intero si trasferisce a casa vostra a favore della Famiglia.
E se il prezzo dev'essere accettare l'esistenza di titoli dal sottotesto retorico ed il richiamo alla lacrima facile, poco importa: la settima arte è anche questo - senza contare che il rapporto tra Joseph e Shannon è riuscito a ricordare molto, seppur fra due poveracci, il continuo provocarsi che ha posto le fondamenta di quello che abbiamo io e Julez oggi -, e sono ben contento che il semplice goderseli dall'inizio alla fine vada oltre ai tentativi di "nobilitarli" raccontando del ribaltamento di ruoli tra i protagonisti nel corso del loro viaggio e dunque del rapporto tra Vecchio e Nuovo Continente, perchè sarebbe come dare ragione ad un borioso proprietario terriero quando qui al Saloon si è sempre appartenuti alla grande schiera dei venuti dalla terra e dalla strada.
MrFord
"There's diamonds in the sidewalks, there's gutters lined in song
dear I hear that beer flows through the faucets all night long
there's treasure for the taking, for any hard working man
who will make his home in the American land."Bruce Springsteen - "American land" -