Il dolore cronico, in Italia, ha il volto di una casalinga intorno ai 60-65 anni. Soffre soprattutto a causa di artrosi, osteoporosi o artrite reumatoide, oltre che per un tumore, e attende di solito più di tre mesi prima di richiedere una visita. Lo rivelano due sondaggi presentati a Milano nell’ambito della Giornata senza dolore, dove è emerso che sono ben 15 milioni gli italiani che si ritrovano a convivere costantemente con una sofferenza, spesso acuta, che li limita anche nelle attività quotidiane. E se a nove mesi dal varo della legge 38 sulle cure palliative si raccolgono i primi apprezzabili risultati, dal confronto fra medici e pazienti emerge chiara una necessità: abbattere le resistenze culturali sui farmaci oppiacei e renderli finalmente davvero disponibili a chi ne ha bisogno.
L’identikit di chi chiede aiuto contro il dolore cronico arriva da una ricerca dell’associazione Vivere senza dolore (in collaborazione con la Commissione ministeriale sulla terapia del dolore e le cure palliative e con il sostegno di Mudipharma) condotta su 1.617 malati in cura presso 88 centri di terapia antalgica di tutta Italia. Quando raggiungono gli ambulatori specialistici, indirizzati dal medico di famiglia (38 per cento dei casi) o da un familiare (24 per cento), tre connazionali su dieci hanno trascurato la salute al punto di necessitare ormai di qualcuno che li assista nelle attività quotidiane. Pur con qualche disparità tra Nord e Sud, è positivo il giudizio che i cittadini esprimono verso queste strutture, identificate facilmente e alle quali si riesce ad accedere in media entro 15 giorni di attesa. «Chi vive al Sud e nelle isole ha difficoltà maggiori soprattutto nel ricevere risposte dalla Asl (fino al 48 per cento degli intervistati) e per la lontananza del centro dalla propria residenza (fino al 24 per cento) – spiega Marta Gentili, segretario dell’associazione -. Mentre è rassicurante il dato relativo alle liste di attesa: nel 66 per cento dei casi si ottiene la visita entro 15 giorni dalla richiesta di appuntamento, con punte del 75 per cento al Sud, mentre sono meno celeri i centri del Nord (64) e del Centro (66), spesso a causa di una maggiore affluenza di malati provenienti da altre regioni».
Le note dolenti arrivano quando si parla della prescrizione di oppioidi per il trattamento del dolore: nel 37 per cento dei pazienti questa opzione terapeutica non viene considerata, nonostante la reperibilità di questi farmaci nelle farmacie italiane sia garantita nell’82 per cento dei casi (solo nel 68 per cento al Sud). «Il ruolo del farmacista è cruciale – sottolinea Gentili -. Nel 18% dei casi, in cui la reperibilità dei farmaci oppioidi non sia stata semplice, la causa va ricercata nella mancanza del prodotto in farmacia (29 per cento) e nella indisponibilità del farmacista stesso a procurarlo (altro 29): complessivamente, queste motivazioni rappresentano ben il 58 per cento del mancato acquisto». Con la legge 38/2010 oppioidi e cannabinoidi sono ufficialmente diventati più facili da prescrivere, con il ricettario ordinario che ha preso il posto di quello speciale, ma quello contro morfina e farmaci oppiacei – concordano specialisti, infermieri e rappresentanti delle associazioni di pazienti e volontari – è un vero e proprio tabù, che va fatto crollare con una maggiore informazione, rivolta sia al personale medico che ai diretti interessati e ai loro familiari.
Anche un’altra recente indagine (opera dell’associazione DonnEuropee Federcasalinghe e del centro studi Mundipharma) conferma che il sesso femminile è il bersagliopiù colpito dalla sofferenza cronica. Secondo il sondaggio condotto su 684 donne italiane residenti in 12 regioni campione (Abruzzo, Campania, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Sicilia, Toscana, Umbria, Veneto) sei casalinghe su dieci convivono con il dolore soprattutto in Lazio, Campania e Lombardia. Al contrario, il Friuli Venezia Giulia è la regione dove il problema è meno presente. Le donne intervistate hanno dichiarato di soffrire, nel 74,4 per cento dei casi, per dolore cronico dovuto a una patologia di origine non neoplastica come artrosi, osteoporosi o artrite reumatoide, che rappresentano oltre il 61 per cento delle cause di dolore non oncologico. Mentre i tumori al seno, alla tiroide e all’ovaio sono i maggiori responsabili del dolore da cancro (59,6 per cento). Il problema in oltre il 64,6 per cento delle intervistate si protrae da più di un anno e per l’86 per cento del campione grava ignificativamente sulla qualità della vita, tanto da rendere necessario, soprattutto per le attività domestiche più faticose, un supporto esterno per più della metà (56,3 per cento) delle donne. Nella stragrande maggioranza dei casi (oltre 88 per cento) vengono però somministrati farmaci antinfiammatori non steroidei (Fans), ritenuti poco o per nulla efficaci da quasi la metà delle pazienti e gli specialisti del dolore sono stati consultati solo dal 16,7 per cento del campione. L’Italia è al primo posto nel mondo per l’uso di Fans «che sono invece poco efficaci, con un controllo scarso del dolore, e hanno effetti a lungo termine (epatopatie, ulcere, conseguenze sulla coagulazione sanguigna) peggiori rispetto agli oppiodi» afferma Guido Fanelli, coordinatore della Commissione ministeriale sulla terapia del dolore e le cure palliative.
Durante la Giornata si è affrontata anche la questione del dolore pediatrico, «un tema di cui nessuno ama parlare nonostante circa 11mila tra bimbi e ragazzi italiani fino a 18 anni necessitino ogni anno di terapie palliative e antalgiche» sottolinea Marcello Orzalesi, pediatra coordinatore scientifico della Fondazione Maruzza Lefebvre D’Ovidio. Soffrono soprattutto di malattie rare e croniche, in meno di un terzo dei casi di tumore e hanno bisogno di trattamenti speciali e complessi, per lo più a domicilio, generalmente per lunghi periodi. «Per i bambini più che per gli adulti il tabù sugli oppiodi è fortissimo – dice Orzatesi – ed è necessaria un’adeguata preparazione soprattutto dei pediatri per abbattere la resistenza culturale che circonda questi farmaci. Gli strumenti per combattere la sofferenza inutile ci sono, le cose negli ultimi anni sono migliorate e la Legge 38 per la prima volta si occupa nello specifico anche dei minori». Contro il dolore dei bambini (solitamente cronico e di tipo severo) le case farmaceutiche hanno, infatti, provveduto a creare medicinali in dosaggi appositamente ridotti e l’ente regolatorio a livello europeo, l’Emea, circa un anno fa ha stabilito che si proceda con sperimentazioni pediatriche mirate a verificare vantaggi, effetti collaterali e dosi dei farmaci esclusivamente sui più piccoli.