La distanza, è più o meno pari a quella sulla cartina. A rotta di collo, scaravento il pc nella borsa, insalamo i libri nella sacca e, armata di blocco, penna e il migliore dei sorrisi, inizio la traversata transoceanica per raggiungere le Cure. Sai che c'è? Prendo un autobus, che anche se non lo faccio mai, serviranno pure a qualcosa 'sti trasporti pubblici.45 minuti, due autobus, mille stradine e una mela dopo, arrivo a destinazione.Mi stringe la mano, questa donnina minuta e bella come l'isola da cui viene. Mi fa un caffè, mi presenta i suoi collaboratori, e lascia che mi guardi in giro.Foto di lei, spille da balia, gessi, ritagli di tessuti, colletti di camicie."Visto che sei alta, provati questi pantaloni""Non ne metto un paio da quattro anni. Lo segni in agenda che questo è un evento"Mi porta sul retro, dietro la sartoria. Manichini, abiti in prova, sfilacci di cotone stampato, spilli ovunque.C'è una porta finestra in legno bianco che si apre su un raviolo di terra tenuto alla bell'e meglio; gira la maniglia cigolante dopo aver pescato una Merit dalla borsa."Vuoi una sedia? Io mi siedo per terra"Non potevo chiedere di meglio, "No, grazie"Sediamo; sugli scalini lei, sul cordone di cemento io. Fumiamo.Lei parla. Io scrivo. E penso che, da principio, devo incutere un certo timore. L'altezza teutonica, il registro della voce, forse gli occhiali a mo' di segretaria che ha sposato un avvocato.Racconta di quand'era piccola e suonava il piano.Non riesco a staccare gli occhi da quel ciuffo di nuvola individualista che le si agita dalla sommità della testa corvina. Siamo in occidente, penso; a cinquant'anni, portare capelli non tinti, con la spontaneità di un caschetto dei vent'anni, non è cosa da tutti i giorni.Non sa cucire come gli accademici del settore sostengono essere irrinunciabile. Sa cucire come le hanno insegnato le sue mani, i suoi tessuti. Niente cartamodelli. Solo quelli che una volta erano abiti di altre epoche, di altre persone, con altre storie. Riqualifica i vestiti, 'chè lei in fondo è un architetto. Disfare e rifare. Una moderna Penelope che non aspetta Ulisse, ma le sirene dell'ispirazione. E arrivano, puntuali, a dar vita a cose che stanno in piedi da sole, non perché inamidate ma quasi vertebrate. Mi piacciono i suoi pezzi. Anche se non sono il mio genere, fa cose che hanno un'anima, e pure un cuore. Un'ora scivola via in quattro pagine di parole fitte fitte.Sa fare, non sa esattamente perché fa. Siamo in occidente, penso; a cinquant'anni ammettere di non sapere, con la naturalezza dei vent'anni, non è cosa da tutti i giorni.
La distanza, è più o meno pari a quella sulla cartina. A rotta di collo, scaravento il pc nella borsa, insalamo i libri nella sacca e, armata di blocco, penna e il migliore dei sorrisi, inizio la traversata transoceanica per raggiungere le Cure. Sai che c'è? Prendo un autobus, che anche se non lo faccio mai, serviranno pure a qualcosa 'sti trasporti pubblici.45 minuti, due autobus, mille stradine e una mela dopo, arrivo a destinazione.Mi stringe la mano, questa donnina minuta e bella come l'isola da cui viene. Mi fa un caffè, mi presenta i suoi collaboratori, e lascia che mi guardi in giro.Foto di lei, spille da balia, gessi, ritagli di tessuti, colletti di camicie."Visto che sei alta, provati questi pantaloni""Non ne metto un paio da quattro anni. Lo segni in agenda che questo è un evento"Mi porta sul retro, dietro la sartoria. Manichini, abiti in prova, sfilacci di cotone stampato, spilli ovunque.C'è una porta finestra in legno bianco che si apre su un raviolo di terra tenuto alla bell'e meglio; gira la maniglia cigolante dopo aver pescato una Merit dalla borsa."Vuoi una sedia? Io mi siedo per terra"Non potevo chiedere di meglio, "No, grazie"Sediamo; sugli scalini lei, sul cordone di cemento io. Fumiamo.Lei parla. Io scrivo. E penso che, da principio, devo incutere un certo timore. L'altezza teutonica, il registro della voce, forse gli occhiali a mo' di segretaria che ha sposato un avvocato.Racconta di quand'era piccola e suonava il piano.Non riesco a staccare gli occhi da quel ciuffo di nuvola individualista che le si agita dalla sommità della testa corvina. Siamo in occidente, penso; a cinquant'anni, portare capelli non tinti, con la spontaneità di un caschetto dei vent'anni, non è cosa da tutti i giorni.Non sa cucire come gli accademici del settore sostengono essere irrinunciabile. Sa cucire come le hanno insegnato le sue mani, i suoi tessuti. Niente cartamodelli. Solo quelli che una volta erano abiti di altre epoche, di altre persone, con altre storie. Riqualifica i vestiti, 'chè lei in fondo è un architetto. Disfare e rifare. Una moderna Penelope che non aspetta Ulisse, ma le sirene dell'ispirazione. E arrivano, puntuali, a dar vita a cose che stanno in piedi da sole, non perché inamidate ma quasi vertebrate. Mi piacciono i suoi pezzi. Anche se non sono il mio genere, fa cose che hanno un'anima, e pure un cuore. Un'ora scivola via in quattro pagine di parole fitte fitte.Sa fare, non sa esattamente perché fa. Siamo in occidente, penso; a cinquant'anni ammettere di non sapere, con la naturalezza dei vent'anni, non è cosa da tutti i giorni.
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