Curiosità storico-scientifiche: Giovanni Aldini
18 agosto 2014 di Dino Licci
Illustrazione degli esperimenti di Giovanni Aldini su cadaveri
Nella prima metà del diciannovesimo secolo visse uno scienziato, noto più per suoi macabri esperimenti che per vere scoperte scientifiche. Nipote del molto più noto Galvani, egli sfruttò le idee dello zio sulla elettricità animale, per allestire spettacoli che inizialmente avevano lo scopo di divulgare le ultime scoperte scientifiche, ma che gli fruttarono grande notorietà e una grande fortuna economica, che comunque devolse alla fondazione della Scuola di Scienze Naturali a Bologna, destinata all’applicazione della fisica e della chimica alle Arti e ai Mestieri.
Sto parlando di Giovanni Aldini, nato a Bologna il 10 Aprile del 1762 e deceduto a Milano il 17 gennaio 1834. Fu docente presso l’Università di Bologna dove poté approfondire i suoi studi soprattutto sull’elettricità animale, ma fu anche un artista di talento se riuscì ad allestire numerosi spettacoli strabiliando il pubblico con i suoi esperimenti sui cadaveri umani.
La storia comincia da molto più lontano e cioè dalla polemica di due grandi scienziati che hanno apportato un grande contributo alle conoscenze scientifiche del diciannovesimo secolo: Galvani, fisiologo e anatomista di fama, era convinto che nei muscoli animali fosse concentrata la carica elettrica che li faceva contrarre quando venivano stimolati dallo scalpellino con cui li toccava. Da notare che gli esperimenti venivano condotti su animali morti, soprattutto rane, che sembravano tornare a vivere sotto lo stimolo cui Galvani li sottoponeva. Volta, al contrario, pensava che non i muscoli del batrace, ma lo scalpellino formato da due tipi di metallo diverso, fosse alla base del fenomeno.
Da qui alla scoperta della pila elettrica il passo fu breve, ma entrambi gli scienziati concorsero ad aumentare le nostre conoscenze in campo elettrico.
Giovanni Aldini per contro, pur potendosi annoverare tra gli scienziati e inventori tra i più autorevoli del secolo, lascia alquanto perplessi soprattutto per i suoi esperimenti, eseguiti su cadaveri umani, che furono giudicati certamente spettacolari ma anche raccapriccianti se non macabri, anche dai suoi contemporanei.
Pare che intendesse tentare di resuscitare i morti, scegliendoli fra i condannati alla pena capitale e, dato che in quasi tutta l’Europa questi venivano decapitati, si spostò a Londra dove invece venivano impiccati. Così avrebbe potuto operare sul cadavere intero. Si racconta che nelle prigioni londinesi trovò un uomo, probabilmente innocente, che definì ideale per i suoi esperimenti, George Forrest, accusato, forse ingiustamente, di aver ucciso moglie e figlia, ma il cui processo non si era ancora celebrato. Aldini comprò i giudici (relata refero), e l’uomo fu condannato e impiccato. Aldini quindi, utilizzando una grande pila, eseguì sul suo cadavere, un esperimento perfettamente riuscito da un punto di vista teatrale. Il pubblico ne rimase shoccato al punto tale che un suo assistente la notte stessa morì d’infarto, per il terrore della “resurrezione” cui aveva assistito.
Nel detto esperimento il cadavere parve ricominciare a respirare ed il suo cuore a battere, ma il “miracolo” durò solo un tempo brevissimo e cessò appena vennero interrotti gli stimoli elettrici.
Celebri anche i suoi esperimenti sulle teste mozzate di cani i cui muscoli facciali si contraevano determinando l’apertura e chiusura delle mascelle. Quando poi a fare da cavie erano le teste umane, i volti si contorcevano orribilmente mentre gli occhi si dilatavano quasi a implorare pietà. Io ignoro quanti corpi subirono tali ignominie, ma devono essere stati parecchi, visto che il nostro soggiornava dietro i tribunali penali che decretavano la decapitazione o l’impiccagione dei condannati. E subito Andini si impossessava dei corpi, pronti per essere esibiti nei suoi terrificanti spettacoli. Tali erano i tempi!
Questi esperimenti forse servirono allo scienziato, che ha peraltro molti meriti di divulgazione scientifica, per incrementare le sue casse con denari che comunque vennero devoluti,come abbiamo visto, per scopi nobili, ma forse in fondo all’animo sperava davvero di ridare la vita ai morti, così come descritto dal celeberrimo romanzo di Mary Shelley, moglie del famoso poeta, che si ispirò appunto a questi esperimenti per scrivere il romanzo che vedeva il dottor Frankstein, moderno Prometeo, ridare vita alla sua “creatura” con le conseguenze che tutti conosciamo.