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Custode del nostro vissuto – SALVATORE CARVELLI

Creato il 30 novembre 2012 da Thoth @thoth14

UNA FOTOGRAFIA

E siam per sempre dentro

una fotografia,

immagine d’un tempo

ch’è volato via.

E sbiadiscono i ricordi

e si attenua il contrasto,

come la luce quand’è sera,

e si lacerano i contorni

e pure si consumano

e pure si ingialliscono,

come d’autunno le foglie:

che cadono a terra,

calpestate dall’indifferenza

e crepitano, sotto il peso

della resa.

Ma pur s’incidono barbari

i segni su di essa;

per le tante genti

che l’han maneggiata,

per le tante persone che

l’han parafrasata.

Che con orgoglio la sfoggi,

come se fosse vanto

di quel che fosti, come se

fosse specchio di quel che sei.

Perchè certo ancor ti credi,

in fondo,

dentro quella fotografia.

 

Salvatore  Carvelli

Custode del nostro vissuto – SALVATORE CARVELLI
Catturare un’immagine, ma forse più che un’immagine, momenti, attimi, situazioni felici o tristi e conservarli per sempre o quantomeno a lungo una fotografia lo può. Eppure penso che sia solo un’illusione perché i volti o i paesaggi o gli oggetti incapsulati dentro l’obiettivo fotografico, da quel momento in poi, diventano irreali, quasi appartenenti ad un mondo altro, “fissi e irrigiditi in una staticità che fa parte della morte” per usare le parole di Roland Barthes. UNA FOTOGRAFIA è una poesia a rima baciata, di facile lettura e di impatto immediato, dove le tronche, piuttosto frequenti in tutto il componimento, denotano, a livello inconscio, una tensione sottile e costante nel poeta. I versi sembrano come narrare, raccontare una storia dal principio alla fine. Vaghi echi di permanenza nel tempo e oltre il tempo si dispiegano, insieme a una punta di nostalgia, soprattutto nei versi iniziali e finali, e un’ironia pungente e forse amara smaschera leggera l’illusione di eternità che sovente crea, in noi, una fotografia. Tutto sbiadisce, tutto passa, tutto si consuma: i contorni, i ricordi, la vita; splendido, al riguardo, il paragone con le foglie quando in autunno ingialliscono e cadono a terra nell’indifferenza e nel crepitìo che è fine di qualcosa (di un ciclo vitale, di una storia d’amore o d’altro, di un’avventura, di un’epoca). Se i segni di molte mani o molte vicissitudini si imprimono prepotentemente su una fotografia cento, mille volte rigirata, sfiorata o soltanto guardata allora, forse, ancora una volta la Poesia, il verso, la parola è in grado di annullare il tempo e lo spazio e di espletare quella funzione di custodire i momenti, gli attimi del nostro vissuto.

Francesca  Rita  Rombolà


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