TITOLO: Custodi Dark Paradise (vol.1)AUTORE: Claudia Di LilloEDITORE: Self Publishing DATA PUBBLICAZIONE: 12.01.2016GENERE: Urban Fantasy ISBN: 9788892542075FORMATO: ebookPAGINE: 265PREZZO: 2,99PAGINA FB: https://www.facebook.com/custodi.darkparadise/LINK BOOKTRAILER: YouTubeLINK D’ACQUISTO: AMAZONSINOSSI: Se sei un angelo e infrangi le regole, se ami senza poterlo fare, se sovverti un ordine che dura da secoli, esiste punizione migliore che privarti di colui che ami e strappare dalla sua mente il tuo ricordo? Quando le portano via Nathaniel, tutto ciò che resta ad Adriel è un paradiso oscuro. Nate diventa umano e senza alcuna memoria del prima, si costruisce una vita divenendo un motociclista di successo. Adriel lo segue nei secoli e quando il tempo del suo oblio sta per scadere, assume le vesti di una giornalista per avvicinarsi a lui. Seppur privo di ricordi, Nate è pericolosamente attratto da lei e su una spiaggia spazzata dal vento la bacia. Non ha idea di cosa questo comporti: un fulmine sovrannaturale si scaglia su di loro pronto a divorare il loro amore. Scampati al pericolo i due sono costretti a dividersi. Mentre Nate si sforza di recuperare i ricordi del suo passato, Adriel è immersa nei suoi compiti di Custode dell’amore e segue Cristal e Nicole, ignara dell’importanza che i due avranno nella questione dell’Ordine cosmico. Quando Nathaniel ritorna alla sua natura, recuperando i suoi poteri, il peggio non è ancora passato. Uno dei Guardiani dell’Ordine invia Adriel nel passato per correggere il primo errore, proprio quando Nathaniel viene a conoscenza di un’allarmante verità: se Adriel riuscisse nel suo intento il loro amore dannato scomparirebbe dal tempo.ESTRATTO: Strinsi i pugni intorno al freddo metallo delle transenne che delimitavano gli spalti dal circuito motociclistico, e rimasi immobile, aspettando il momento giusto. Ce ne sarebbe mai stato uno? Sarebbe davvero giunto? Come lo avrei riconosciuto? Forse sarebbe stato meglio andarsene, senza lasciare indizi, né tracce della mia presenza. Sarebbe bastato poco: un passo, un respiro, un battito d’ali. Poi sarebbe stato lui a cercarmi, a trovarmi.Guardai davanti a me. L’arena era grande e deserta, l’asfalto nero, manto luccicante sotto il sole freddo di febbraio. Nel box distante solo pochi metri si agitavano freneticamente alcune sagome, affollandosi intorno alle moto appena rientrate dai giri di prova. Anche lui era lì dentro? Avvertii un fremito nel petto. Dieci minuti. Il pensiero della sua vicinanza già mi sconvolgeva.Abbassai le palpebre per un attimo. Un bruciore fulmineo e intenso mi pizzicò le ali e prima ancora di aprire gli occhi, seppi che lui le aveva involontariamente sfiorate. Quando mi voltai alzandomi in punta di piedi, lui era lì, di fronte a me, con la tuta azzurra a strisce gialle sporca di grasso, con i capelli arruffati e biondissimi, con lo stesso sguardo impunito e smagliante che mi faceva morire e rinascere ogni volta.Tirai un respiro profondo e quasi annegai nel suo odore.Nessuno mi avrebbe strappato dalla memoria l’odore della sua pelle.Un brivido mi percorse la schiena, mentre i nostri sguardi s’intrecciavano l’uno all’altro, ma non potei attribuirlo al vento freddo che graffiava il mio viso come una lama tagliente e s’insinuava arditamente sotto il mio giubbino. «Ciao» dissi cauta, restando immobile.«Ciao» rispose, facendo lo stesso.La sua voce fece fermare il tempo, anzi lo annullò, riavvolgendolo, riportandolo all’ultimo istante in cui c’eravamo parlati. Cercai il suo sguardo. Cosa brillava nei suoi occhi? Un ricordo cancellato, un amore proibito, un’attrazione inesorabile, una parola mai detta? Lui mi fissò di rimando come se mi vedesse per la prima volta. Scrutai la sua espressione calcolando i minuti che mancavano. Ancora troppi.«Sei qui per l’intervista?».Il suono scaturito dalle sue corde vocali era ancora la musica più bella che avessi mai udito, nella mia lunga, immortale vita angelica e gli angoli della mia bocca si piegarono leggermente nel più dolce dei sorrisi.Adesso dovevo rispondere.Avrei voluto dire tanto, troppo.Se solo mi avesse riconosciuto.Due minuti.Acconsentii per guadagnare tempo.«Nate Hashmallim, potete concedermi qualche minuto per un’intervista?» chiesi con un tono appena sussurrato.Lui sorrise. L’avevo visto sorridere così tante volte che ne avevo perso il conto ma quel sorriso che indugiava adesso sulle sue labbra aveva un altro sapore. Sembrava divertito dalle mie parole.«Dammi pure del tu e se me lo permetti, io farò lo stesso» disse amichevole.Annuii cercando ancora di interpretare i segni della sua espressione.«Puoi intervistarmi ma solo se mi concedi qualche minuto per un caffè».«Un caffè?» ripetei stupita dall’invito.«Sì – confermò con un largo sorriso che gli illuminava il volto – hai presente quella bevanda dal colore scuro e il gusto forte e deciso? Staremo più tranquilli in quel bar lì giù».Uscimmo all’esterno del circuito. Il bar era poco distante e lo raggiungemmo a piedi. I nostri piedi sfioravano un passo dopo l’altro l’asfalto coperto di un sottile strato di neve e mi venne voglia di sollevarmi qualche millimetro dal suolo per non affondare nel morbido biancore che ricopriva le strade.Ci stavo ancora pensando quando Nate spalancò la porta e una corrente d’aria calda ci invitò a entrare. Scegliemmo a caso uno dei tavolini di vetro smerigliato disposti in ordine nel piccolo locale e ordinammo due caffè.Il silenzio era imbarazzante ma presto sarebbe svanito. Dieci secondi.Nove.Lui puntò gli occhi dentro ai miei sfiorandomi con lo sguardo.«Ci consociamo forse?».Cercai di restare perfettamente immobile per non tradire il mio stato d’animo ma dentro tremavo.«Ti sembra forse di sì?».«Hai un viso familiare. Ti ho già vista ma non riesco a ricordare dove».Zero. Era questo il momento. I suoi occhi si spalancarono ma la pupilla si ridusse a una minuscola punta di spillo.