l'invio cv è pratica quotidiana della mia generazione, nel mio paese.
noi ci svegliamo, facciamo il caffè, scambiamo due assonnate chiacchiere con compagni ed animali domestici e poi inviamo cv. dopo di che, la giornata comincia.
non c'è la preoccupazione di rispondere agli annunci a cui hai inviato elegante adesione perché tanto non rispondono. un pensiero in meno.
fino a quando non decidi di inviare il primo cv all'estero, più per provocazione alla tua mailing list di recruiter che non perchè realmente ti interessi. è una specie di affronto al paese, quelle personalissime quanto sterili polemiche autoreferenziali che pensi possano patriotticamente smuovere energie verso la tua annoiata ricerca.
ad ogni modo, è venuta anche a me la fregola di sfidare il bel paese inviando il cv a fanculonia, sicura che rientrasse nella prassi dell'invio a vuoto, ma con la sicumera che il solo aver pensato di andarsene potesse ferire la bella patria e spaventarla per il presunto abbandono. ovviamente all'italia non gliene frega niente che io parta, mentre all'Asia interessa che io diventi una di loro. in meno di 24h dall'invio di un'apply che non so nemmeno per cosa l'ho fatta, hanno immediatamente (e con mio stupore anche gentilmente) risposto, per concordare un appuntamento online per il colloquio: quando a me era più comodo, avvisandomi dei tempi e dei modi, ringraziandomi per essermi proposta.
ora, io lo immagino che per qualcuno non sia strano, ma io ho anche fatto selezione del personale e tutte queste attenzioni, non solo non sono proprio contemplate, ma l'idea che una persona offra la propria professionalità quando cerca lavoro è talmente lontana dalla mentalità italica, che la dissonanza cognitiva è la più blanda delle reazioni. non lo so che farò, ma non è questo il punto.
ogni volta che ch sente qualcuna delle mie nuove avventure lavorative salta dalla sedia e mi ripete che dovrei lasciare tutto e scriverle queste mie assurde vicessitudini professionali.
il problema è che ch le sente tutti i giorni queste fairy tales "de no artri", che a chiamarle lavorative mi sembra già di tirarmi un po' la posa. il fatto è che io lo so che ch ha ragione, non perché possa realmente interessare a qualcuno quello che mi accade nel diario, ma perché magari a scriverle le cose assurde ci ridi su meglio visto che diventano un po' più estranee. è probabile che ad un certo punto lo farò, di scrivere quello che succede dentro all'università ad una tretatreenne con due lauree un dottorato europeo un master e ottomila pubblicazioni nel nostro bel paese. ma non che mi interessi la denuncia sociale o quelle altre cose lì, sia chiaro. per quanto tra i vari titoli annoveri quello di sociologa, devo ammettere di non aver affatto la stoffa dell'attivista, però a raccontarle certe cose non si può non ridere. un giorno, seguirò il consiglio di ch e comincerò a scrivere di quella volta che mi chiesero oltre duecentocinquantamilioni per pagarmi il concorso perché loro non potevano fare a meno di me o del fatto che per quasi un anno l'affitto me l'ha pagato un lavoro indiscutibilmente immorale come il ghost writing.
e soprattutto che facendo vincere la moralità, a perderci sono solo io, ma è il compromesso che si deve stringere con la voglia di restare quaggiù, dove le radici e il cuore sono maledettamente una cosa sola.
un giorno scriverò ad hoc qualche post su questo,
fosse solo per raccontarmi che se quello a cui aspiravo era non annoiarmi da grande, sono stata di parola.
Magazine Diario personale
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