Non c’è da meravigliarsi. Massimo D’Alema ormai da anni è sempre lo stesso, sempre teso al compromesso, sempre disponibile ai “confronti” pur di garantire, a sua detta, la governabilità. Il “governare” è infatti il tema ricorrente della politica dalemiana. La “Bicamerale” avrebbe dovuto avere questo risultato, il governo che guidò trombando Prodi con l’aiuto di Cossiga, e del peggio della vecchia Dc pure, l’intesa con Casini idem, l’interlocuzione con Fini uguale. Fateci caso, mai che abbia ritenuto attendibile un interlocutore di sinistra, lui preferisce i vecchi democristiani, i cattolici integralisti, gli ex fascisti e se può far secco uno che dichiara apertamente di essere “un po’” comunista, cerca di renderlo innocuo come ha tentato di fare con Vendola in Puglia, rimediando pernacchie e sberleffi. Ma dall’intervista rilasciata al Corriere della Sera, che evidentemente “sente” come il suo giornale, emergono altri aspetti di un D’Alema che, siccome nessuno gli dice più che è il politico più intelligente della sinistra, cerca di autodimostrarselo dandosi le arie dello statista. La simpatia con cui guarda a Fini è la stessa di quella dimostrata nei confronti di Topo Gigio ministro della salute in pectore. Guarda entrambi con la tenerezza di chi cerca di coccolare creature che ritiene inferiori alla sua statura di politico, andando però incontro alla delusione di chi si accorge tardi di trovarsi di fronte due “squali” (si, anche Topo Gigio). Costretto nella sua visione vetero-parlamentarista, da politico pragmatico D’Alema prende atto dell’esistente: “Occorre partire dall’opposizione che c’è – dice – e quindi dall’Udc e dall’Idv” omettendo accuratamente la collaborazione con l’altra sinistra, quella “un po’” comunista, che a Casini non va proprio giù. Non sappiamo se D’Alema abbia mai portato con sé Casini sull’Ikarus, quello che ormai appare chiaro è che fra i due c'è una sorta di patto perverso che, oltre a snaturare le ragioni per le quali uno dovrebbe votare a sinistra, mortifica lo spirito laico che dovrebbe contraddistinguere la politica nel nostro paese. Secondo noi D’Alema sta cercando di trovare anche un’intesa personale con Papa Ratzinger al quale non l’unisce solo una anaffettività maniacale ma anche il comune trovarsi a nuotare in acque agitate. Ma la Chiesa ha già scelto la parte da cui stare e, fra un ex ante e l’altro, ormai è ridotta a una Spa con azioni tendenti al ribasso fisso. Non contento delle sue scelte di campo (Fini, Casini, Rutelli) sulle quali continua a lavorare, ha dato del fesso a chi ritiene che lui e Veltroni dovrebbero farsi da parte. La risposta è stata disarmante: “Né io né Veltroni abbiamo ruoli esecutivi nel Partito”, offendendo l’intelligenza degli italiani, di quelli che ancora credono in un Pd di sinistra e, ma questo è l’aspetto più marginale, la sua. Anzi, a questi giovani dirigenti e militanti del partito, D’Alema la canta chiara. “Invece di dire male dei dirigenti – ha affermato rex inciuciorum – questi giovani dovrebbero dire qualcosa di utile per il Paese”. Se le cose utili all’Italia sono quelle che dice lui, preghiamo i giovani pidini di svernare altrove, dalle parti di D’Alema non c’è né trippa gatti, né alcuna chance per loro. 29 aprile 2010. Ore 10.00. Calma piatta.
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D’Alema: “Né io né Veltroni abbiamo ruoli esecutivi nel Pd”. E rise anche Topo Gigio.
Creato il 29 aprile 2010 da Massimoconsorti @massimoconsorti
Non c’è da meravigliarsi. Massimo D’Alema ormai da anni è sempre lo stesso, sempre teso al compromesso, sempre disponibile ai “confronti” pur di garantire, a sua detta, la governabilità. Il “governare” è infatti il tema ricorrente della politica dalemiana. La “Bicamerale” avrebbe dovuto avere questo risultato, il governo che guidò trombando Prodi con l’aiuto di Cossiga, e del peggio della vecchia Dc pure, l’intesa con Casini idem, l’interlocuzione con Fini uguale. Fateci caso, mai che abbia ritenuto attendibile un interlocutore di sinistra, lui preferisce i vecchi democristiani, i cattolici integralisti, gli ex fascisti e se può far secco uno che dichiara apertamente di essere “un po’” comunista, cerca di renderlo innocuo come ha tentato di fare con Vendola in Puglia, rimediando pernacchie e sberleffi. Ma dall’intervista rilasciata al Corriere della Sera, che evidentemente “sente” come il suo giornale, emergono altri aspetti di un D’Alema che, siccome nessuno gli dice più che è il politico più intelligente della sinistra, cerca di autodimostrarselo dandosi le arie dello statista. La simpatia con cui guarda a Fini è la stessa di quella dimostrata nei confronti di Topo Gigio ministro della salute in pectore. Guarda entrambi con la tenerezza di chi cerca di coccolare creature che ritiene inferiori alla sua statura di politico, andando però incontro alla delusione di chi si accorge tardi di trovarsi di fronte due “squali” (si, anche Topo Gigio). Costretto nella sua visione vetero-parlamentarista, da politico pragmatico D’Alema prende atto dell’esistente: “Occorre partire dall’opposizione che c’è – dice – e quindi dall’Udc e dall’Idv” omettendo accuratamente la collaborazione con l’altra sinistra, quella “un po’” comunista, che a Casini non va proprio giù. Non sappiamo se D’Alema abbia mai portato con sé Casini sull’Ikarus, quello che ormai appare chiaro è che fra i due c'è una sorta di patto perverso che, oltre a snaturare le ragioni per le quali uno dovrebbe votare a sinistra, mortifica lo spirito laico che dovrebbe contraddistinguere la politica nel nostro paese. Secondo noi D’Alema sta cercando di trovare anche un’intesa personale con Papa Ratzinger al quale non l’unisce solo una anaffettività maniacale ma anche il comune trovarsi a nuotare in acque agitate. Ma la Chiesa ha già scelto la parte da cui stare e, fra un ex ante e l’altro, ormai è ridotta a una Spa con azioni tendenti al ribasso fisso. Non contento delle sue scelte di campo (Fini, Casini, Rutelli) sulle quali continua a lavorare, ha dato del fesso a chi ritiene che lui e Veltroni dovrebbero farsi da parte. La risposta è stata disarmante: “Né io né Veltroni abbiamo ruoli esecutivi nel Partito”, offendendo l’intelligenza degli italiani, di quelli che ancora credono in un Pd di sinistra e, ma questo è l’aspetto più marginale, la sua. Anzi, a questi giovani dirigenti e militanti del partito, D’Alema la canta chiara. “Invece di dire male dei dirigenti – ha affermato rex inciuciorum – questi giovani dovrebbero dire qualcosa di utile per il Paese”. Se le cose utili all’Italia sono quelle che dice lui, preghiamo i giovani pidini di svernare altrove, dalle parti di D’Alema non c’è né trippa gatti, né alcuna chance per loro. 29 aprile 2010. Ore 10.00. Calma piatta.
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