“D’Amore non si muore?”

Creato il 24 maggio 2013 da Vforfrancesco

“D’Amore non si muore” non è solo un celebre verso di Massimo Ranieri, ma una domanda che forse sarebbe il caso di iniziare a porsi.

Il caso di Rosaria Aprea, la ventisettenne di Macerata Campania, pestata dal compagno, sembrava già archiviato tra le decine, purtroppo, di casi di violenza sulle donne.

L’aggressore, Antonio Caliendo, pare essere avvezzo a certi comportamenti. Nel 2011, infatti, la partecipazione di Rosaria ad un concorso di bellezza gli avrebbe fatto perdere la testa al punto da mandarla in ospedale. Denunciato, a suo tempo, e repentinamente perdonato, l’uomo pochi giorni fa ha colpito ancora costringendo la madre di suo figlio a subire ben due operazioni.

Ma stavolta, a far discutere, sono le dichiarazioni della donna. L’intervista rilasciata da Rosaria al Corriere del Mezzogiorno, ha fatto il giro del web. La scelta di ritirare la denuncia risulta incomprensibile e, a giusta ragione, ha suscitato polemiche. Pare si sia fatta fotografare per dimostrare di non aver subito alcun pestaggio da parte del compagno.

“Ci amiamo, non vediamo l’ora di vivere insieme con nostro figlio”, avrebbe detto e non c’è bisogno di essere una suffragetta per sentirsi indignate.

Un’affermazionedel genere, oltre a risultare anacronistica (nemmeno nel Medioevo credo si fosse tanto servili), offende, a mio parere, quante non ce l’hanno fatta, tutte quelle donne morte ancor prima di poter contattare un giornalista.

Non parlatemi d’amore, non ditemi che c’è di mezzo un figlio perche allora ammetto di NON saper amare…“Amor ch’al cor gentil ratto s’apprende”, recitava Dante ma, pur volendosi sforzare, qui non trovo nulla di gentile.

In Italia sono nate diverse associazioni che si occupano di donne vittime di violenza e tante sono le giovani donne che, seppur nello spazio limitato di un social network, gridano il loro dissenso, il loro NO alla violenza che sempre più spesso degenera in femminicidio, termine raccapricciante…anzi raccapricciante è che ci sia stato bisogno di coniare un apposito termine perdenominare un delitto sempre più diffuso.

In casi del genere, la prima reazione è quella di scagliarsi, com’è giusto che sia, sui carnefici, sulla loro mancata educazione al rispetto delle donne, educazione sentimentale, oltre che sessuale sulla quale bisogna continuare ad investire tempo ed energie.

Ma mi chiedo se sia il caso di puntare di più anche sull’educazione di alcune donne, quelle che come Rosaria chiudono un occhio (le meno fortunate li chiudono entrambi…per sempre) davanti ad atrocità inammissibili, quelle che ANCORA considerano la violenza segno di gelosia e quindi di considerazione. Retaggio culturale? Contesto sociale? Può essere! Ma credo si tratti dell’ennesima crocerossina che crede che l’amore smuova le montagne, beh quella è la volontà, è diverso!

Donne come lei hanno la responsabilità degli uomini di domani e se dietro un grande uomo c’èuna grande donna credo sia il caso di rimboccarsi le maniche. Le “piccole donne”, a meno che non siano quelle narrate dalla Alcott, non aiuteranno certo a risolvere il problema.

Elisa Marzocchi

 


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