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Storia di storie che si incontrano, non stupisce per inverosimiglianza, bensì per irresolutezza narrativa e descrittiva dei personaggi. Hereafter parla di un sensitivo, George (Matt Damon) stanco di vivere la vita solo attraverso i contatti con i morti e di viverla per gli altri. Ovvero, per esser forse più esatti, parla dell'impossibilità che ci si possa sottrarre a una simile evenienza.
Sulla strada del giovane, infatti, operaio in fase di licenziamento, capiteranno donne e uomini incapaci di sopportare il distacco da una persona amata, che gli chiederanno aiuto, una parola, la certezza che altro esiste, la certezza che oltre il loro contatto con lui c'è una vita. George, così, combatte con la sensazione continua di essere uno strumento, di non riuscire ad essere altro che se stesso, un uomo maledetto, non beneficiato, dal dono che riceve.
Una donna giornalista d'assalto in crisi e un bambino finiranno con l'imbattersi nel sensitivo, intrecciando in una triplice corsa la struttura del film, che si annoda sul tema della difficoltà, dell'impotenza, dell'ansia di non farcela da una parte, della sincera voglia di riuscirci, di vincersi e vincere dall'altra.
Tutto, intorno a George, sembra in corsa, un mondo indifferente a ciò che possiede, a ciò che esiste: ma, parallela alla sua insicurezza, c'è la certezza altrui di qualcosa che è sbagliato nella vita di chi la vive, di qualcosa che, a un certo punto, ha preso una strada inattesa. In particolare, la determinazione di Marcus (recitato da Frankie e da George McLaren, entrambi di eccezionale bravura) nel cercare l'unico conforto della sua vita, il fratello Jason, commuove per la sua freschezza e la sua forza. E la cronista Marie (Cécile de France), con la sua vicenda parallela, codifica e interpreta la battaglia dell'uomo contro il proprio dono.
Hereafrer presenta un mondo in cui è impossibile incontrarsi senza passare dalla persona che ci sta accanto, senza banalizzarla fino a ridurla a strumento. Ma superare la scorza, andare oltre il modo in cui la vita ci appare è, nel caso di Clint Eastwood, impossibile o riconducibile alla dimensione del patologico e dell'abnorme (lo avevamo già visto in Changeling). Regista, sceneggiatori e interpreti non chiedono al pubblico di credere a ciò che vedono: nel mostrarlo, certificano che si tratta di fenomeni veri, a cui è giusto, nell'ambito del film, credere. Ciò che invece domandano agli spettatori è chi sia l'altro che sta loro accanto, dove sia, e soprattutto cosa accada ora, ora che un altro giorno comincia e le sfide si ripresentano.
Per essere un film su ciò che accade dopo, con la caratteristica reticenza ciò che si tace, la morte, Hereafter è, come quasi sempre in Eastwood, un film sulla debolezza umana e sulla necessità - per ciascuno - di contare solo sulle proprie sfide.
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