Da alieno amerei la Terra

Creato il 09 dicembre 2013 da Media Inaf

L'astronauta siciliano Luca Parmitano ha raccontato per la prima volta in Italia, presso l'Agenzia Spaziale Italiana, la sua esperienza sulla Stazione spaziale internazionale: dal lancio lo scorso maggio all'incidente della seconda EVA, dagli esperimenti scientifici alla passione per la fotografia. Il suo racconto emozionante e molto personale dei 166 giorni in orbita sulla Terra.

di Eleonora Ferroni

Luca Parmitano, 37 anni e all’attivo 166 giorni nello spazio, ha raccontato oggi per la prima volta la sua esperienza sulla Stazione spaziale internazionale Soyuz. E’ stato il primo astronauta italiano a effettuare una passeggiata spaziale, anzi ne ha fatte ben due, la seconda delle quali, però, gli stava per costare la vita. L’astronauta siciliano ha parlato davanti a una platea di studenti e giornalisti e ha parlato dei momenti più emozionanti e importanti della missione “Volare”, dalla partenza lo scorso maggio alle famose attività extra veicolari, dal menu di bordo al turbolento ma “divertente”, dice, rientro sulla Terra.

A lui il merito di aver reso popolare, grazie anche ai social media, una missione spaziale come mai accaduto prima d’ora. Di storie e di aneddoti da raccontare Parmitano ne ha tanti e lo fa da ottimo comunicatore. “Un sogno che si è realizzato”, ha detto. “Un sogno non solo mio, ma di tutti gli italiani, perché da oggi in poi l’Italia siederà al tavolo internazionale dell’esplorazione dello spazio”. Due le parole che hanno accompagnato l’astronauta dell’ESA durante il suo viaggio di quasi sei mesi in orbita attorno alla Terra: futuro e formazione. “Il futuro è nelle mani dei nostri ragazzi che devono e saranno formati nel modo migliore dal nostro Paese”.

Parlando del nostro Paese e del supporto ricevuto in questi mesi Parmitano ha aggiunto: “Mi piace usare la metafora del tetragono, uno dei solidi geometrici più perfetti; più larga è la base sui cui poggia, più è stabile e preciso. Noi astronauti non siamo che il vertice del tetragono, ma per arrivare così lontano serve una base molto ampia. Voglio per questo ringraziare l’ASI, l’Aeronautica militare italiana e le istituzioni, nelle persone dei presidenti Letta e Napolitano, che mi hanno fatto sentire forte la partecipazione del Paese per tutta la durata della mia missione”.

Una forte componente di partecipazione italiana è visibile nella costruzione dell’ATV-4, il modulo cargo di fabbricazione europea ribattezzato “Albert Einstein”, che lo scorso giugno ha portato a bordo rifornimenti per gli astronauti, aria, cibo, acqua e propellente. L’Italia, ha ricordato Parmitano, ha contribuito fortemente alla sua realizzazione, così come a quella della navetta americana Cygnus, un altro cargo prodotto in collaborazione con la compagnia spaziale privata Orbital.

L’Italia, poi, non poteva mancare a tavola. Ebben sì, il primo pasto consumato dagli astronauti a bordo della ISS è stato a base di piatti tipici della nostra cucina, grazie all’intervento di importanti chef italiani a bordo della ISS sono arrivati lasagne, risotto al pesto e tiramisù.

Oltre a storie particolari ed emozionanti l’astronauta di Paternò ha mostrato anche alcune delle sue famose foto scattate dalla ISS. Scatti che hanno fatto letteralmente il giro del mondo. “Ho visto la mia Sicilia, la mia terra da lassù, un’emozione indescrivibile, soprattutto per me che ormai sono lontano da tanti anni. Beh, non potevo non fotografarla”. Poi ha sottolineato l’importanza delle missioni con equipaggio umano: “Mentre i satelliti rilasciano immagini statiche, anche a risoluzioni più alte, noi abbiamo l’aiuto straordinario degli uomini a bordo, che sanno cogliere attimi che i freddi occhi meccanici non sanno catturare. Un giorno, per esempio, mentre stavo facendo sport ho scorto una tempesta di sabbia svilupparsi sopra al nord Africa; l’ho fotografata e grazie a questa immagine i tecnici della NASA sono riusciti a capire l’orientamento dei venti e il suo processo di definizione”.

Esperimenti in orbita - E’ un fiume in piena mentre parla della missione: 150 esperimenti, di cui 20 di fisiologia “solo quando io ero a bordo. Pensiamo ai migliaia effettuati finora. In orbita si fa davvero scienza”. “Tra questi mi piace ricordare quello, a cui ho partecipato in prima persona, per trovare una dieta in grado di contrastare il decadimento di calcio nelle ossa, un fenomeno comune in assenza di gravità che ci affligge anche sulla Terra, dopo una certa età. Attraverso una dieta particolare siamo in grado di combattere l’osteoporosi: immaginate quali benefici potremmo ricavarne sul nostro pianeta”, ha spiegato.

Parmitano si è sottoposto anche allo scan della colonna vertebrale, tramite un ecografo di ultima generazione e di ridotte dimensioni che potrà essere usato in futuro nelle zone più remote del pianeta in sostituzione della risonanza magnetica. E poi ancora: “Sulla ISS stiamo lavorando anche, per esempio, su nuovi combustibili biologici, che permettano di sviluppare propellenti che non inquinino”, ha aggiunto parlando dell’esperimento green air. “L’attività spaziale è soprattutto ricerca per poter migliorare la nostra vita sulla Terra e salvare, in futuro, migliaia di vite umane”.

Le due passeggiate nello spazio – Parmitano non poteva non parlare dei due momenti più emozionanti e cruciali della sua missione. Le famose EVA, vale a dire le extra vehicular activities o attività extra veicolari. “Nelle prime sei settimane di preparazione nella ISS ero cresciuto di 5 cm, ma la tuta era stata progettata per sopportare solo 2 cm in più di massa. Abbiamo quindi – ha raccontato – dovuto modificare la configurazione della tuta. Poi il momento che aspettavo da una vita: uscire nello spazio”. Emozionato ha ricordato, davanti a un centinaio di bambini estasiati: “Con i miei occhi ho visto tutto l’universo e dall’altra parte la Terra, quel pianeta sul quale sceglierei di vivere anche se fossi un alieno e venissi da anni e anni di viaggi tra le stelle”.

Avaria alla tuta - E’ proprio questo uno degli episodi che l’astronauta ha raccontato con maggior passione. “Le tue azioni ti hanno salvato la vita”, gli ha detto Chris Hansen della commissione d’inchiesta della NASA che ha preso in mano il caso dell’avaria alla tuta che ha provocato una perdita d’acqua nel casco nella seconda passeggiata spaziale del 16 luglio scorso. Ne parla come se ormai fosse solo un ricordo, un brutto ricordo, ma quell’incidente poteva essergli fatale, perché ha rischiato di affogare.

Cosa è successo davvero? Secondo gli esperti della NASA, ha detto Parmitano nella prima conferenza stampa italiana nella sede dell’Agenzia Spaziale Italiana a Roma, si è verificata un’avaria meccanica irreversibile nella tuta dovuta a un guasto della pompa che separa il flusso dell’acqua da quello dell’aria. Dalle indagini “è emerso che tutti e otto i buchi si erano otturati e che quindi – ha spiegato l’astronauta – hanno reimmesso l’acqua nel circuito di ventilazione a partire dal casco. Per questo motivo all’interno del mio casco si era formata una sfera d’acqua che mi ha ricoperto completamente il viso, isolando ogni percezione sensoriale”. Dopo questo episodio la NASA ha già pensato a una possibile soluzione per emergenze simili in futuro: agganciare uno snorkel (un boccaglio da sommozzatori) nel retro della tuta per permettere all’astronauta di respirare aria proveniente dalla parte bassa della tuta anche in casi di possibile allagamento del casco.

Gli anni di esperienza come pilota militare hanno aiutato Luca Parmitano a saper prendere la decisione giusta in pochi secondi. Ma anche il team di compagni a bordo gli ha salvato la vita: “Quando sono rientrato ho detto loro che li amavo tutti. Poi abbiamo cominciato a interrogarci sulle cause del guasto, che difficilmente vedrete verificarsi di nuovo”.

Fonte: Media INAF | Scritto da Eleonora Ferroni



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