In questo libro commosso e rigoroso, Luigi Cannone ci ripropone la grande lezione leopardiana dell’infelicità di esistere, ma è anche un’opera che si pone il problema, come altri autori contemporanei, per esempio Cogo, Bonsante … di come ricondurre la sostanza del pensiero a una essenzialità più autentica, fuori dalle grandi costruzioni logiche occidentali e, piuttosto, più vicina all’accadere, indagato nel suo rapido mostrarsi e deperirsi.
La fine del dolore è la comprensione della realtà momento per momento. Luigi Cannone costruisce così la sua poetica a partire da un’ipotesi tutta da verificare: l’intuizione che, piuttosto che dire la cosa, la poesia la osserva nella sua immanenza. Per questo motivo il libro si presenta in forma di minimo diario, con l’indicazione della data e del luogo, “con l’invisibile assenza di gioia/che il cuore intuisce”, p.7, in quanto anche la gioia potrebbe intorpidire l’acqua che scende dalle nevi “e non serve il dubbio di fronte alla vita”, p.9. “La realtà”, insomma, “non può essere compresa se la si avvicina con opinioni o giudizi”, (Krishnamurti, citato in esergo). Ma cos’è, dunque, la realtà, e di cosa è fatta? Cosa sia veramente non lo sappiamo. Intuiamo, però, attraverso l’esperienza, che essa non è statica, ma in mutevole divenire e ripetersi, “muta la vita al divenire…”, p.10. Persino “Dio si agita/e sceglie cadendo il suo fiorire”, p.15; “e la mia anima è l’ombra presente/all’ombra che viene”, p.14. L’essere, dunque, non gioisce ma contempla, resiste alla gioia come al dolore in quanto strumenti dell’inganno dei sensi. Siamo “semplici/ma dentro quale soffocazione,/dietro quali abbagli e grigie sere.”, p.21. Queste annotazioni avvengono in faccia alle montagne, ai cieli, ai laghi, ai fiumi. Davanti agli stormi degli uccelli. Davanti al silenzio “che fa vana la ressa”, p.24. L’esistenza preme e il pensiero bussa violentemente alle porte delle cose per dirle e in questo modo condannarle alla loro seconda vita. “Le cose come sono/d’ombra e d’azzurro chiaro,/venendo come nulla e come nulla il mio fluttuare./Potesse avere un volto/quello spazio d’altre voci e venti,/quel mare d’improvviso vivere e morire”, p.27. E’ necessario s
cordarci, dunque, rivedere le cose, ogni mattina come la prima volta, riconsegnarle al candore dei fiori, della luce. Aggrapparsi alla vita, ci dice Luigi Cannone, all’unica forma di conoscenza che ci è data, più dell’esatta scienza, della
reverie metafisica e del nostro pensare; e cioè lo stupore davanti a un bambino che gioca la sua partita di pallone. “Ora sono qui e in me esisto, paziente vivendo la calma che porto”, p.42. E’ l’unico modo per vincere la paura e guarire; abitare “il confine che crolla”, p.43, esistere in se stessi,
vivendo la calma che portiamo. L’essere è speranza, è vuoto abitato dal vento; le forme si presentano e sono nella percezione momentanea che i sensi permettono, mentre la loro natura intrinseca passa sopra il dolore di pensarle, di fermarle a una loro causa.
Sebastiano Aglieco
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Solo che cambi il colore del lago
nelpreciso punto di sempre
e per grazia divina disertare la morte.
E’ questa la resa,
questa rissa di sole
e d’ombre e d’odori,
ancora che luce dibatta dal vero,
a inseguirci con angelica perizia.
7 Febbraio 2008 – Como.
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Da tempo quel muro annerito segna lo stesso cammino,
ma è con gli occhi del cielo
che il sole ci secca
più nudi di sempre,
più vivi.
Anche l’acqua è la stessa, il rosso del vino.
30 Ottobre 2008 - Como
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Ho trovato in mezzo a tutto il sole,
il punto che include il mio passare.
Ho inteso ogni grido, ogni gesto,
ogni possibile seguire.
E’ freddo fuori
e lo stormo
passa muto.
10 Novembre 2008 - Blevio
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Tutta la notte si è fermata
e il giorno e il vento freddo.
Anch’io in quel che c’è,
nella gioia soltanto di vedere,
d’andare avanti e indietro
come venisse un dolce incanto
ed io fossi quel che sono.
23 Febbraio 2009 – Milano – di mattina.
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Piace a Dio ciò che s’agita intorno,
dove l’ombra sui muri è una sera d’amore
ed io non so più niente
e tutto è vero rincasando.
29 Agosto 2009 – Milano
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Ora lo vedo il lucido affrettarsi della vita
qua e là tra le cose morte
e questi giorni di sole immenso,
d’immenso buio.
Ma vivere è questo,
sospesi ad uno sfondo che ci muove,
al confine d’un voltarsi perenne
della vasta geometria che si ripete.
26 Novembre 2009 – Milano – di mattina.
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Fa paura galleggiare incontro al vento,
l’impenetrabile gioia di guardare correre tra i viali spettatore.
Scelgo questo fuoco dirompente,
il dolore di sapersi senza pace.
7 Aprile 2010 - Milano.