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da assumere lontano dai pasti

Creato il 20 agosto 2014 da Plus1gmt

Non avevo mai notato la cassa toracica di mio papà così ampia, chissà se c’entra col fatto che era una baritono e per prendere quelle note così gravi ci vuole una risonanza adeguata. Forse è stata solo una conseguenza della sua prolungata degenza terminale, qualche mese sdraiato supino e il corpo schiacciato si adatta così, espandendosi per il largo. Sono passati due mesi dalla sua morte e ogni tanto mi colpiscono ancora piccoli dettagli più che il fatto in sé di aver perso un genitore. Voglio dire, quello è il macro-evento, l’esperienza madre, anzi, padre. Il dramma al quale non sono ancora riuscito a dare una giusta collocazione. Poi ci sono queste pillole di lutto che vedo nelle cose che osservo e che paradossalmente hanno la stessa leggerezza di altri ricordi, la mascherina dell’ossigeno che gli ha reso la punta del naso ancora più affilata precede di una posizione in ordine alfabetico le camminate degli scapoli, io e il mio trombettista Giacomo per l’ultima volta insieme sull’alta via dei monti liguri. Invece il torace che pompa meccanicamente ossigeno a un corpo che non risponde più mi ha dato un inusitato punto di vista fisico su mio papà. Ho vegliato questa sua specie di stato vegetativo una notte e quando ho ceduto alle ore centrali, quelle in cui siamo più vulnerabili, le stesse in cui la polizia irrompe nei covi dei terroristi per ridurre la prontezza alla reazione armata, mi sono svegliato più volte di soprassalto ma quella specie di mantice sotto le lenzuola bianche che irrorava aria come un apparecchio elettro-medicale mi tranquillizzava sul fatto che ci fosse ancora vita là dentro. Mi ha sopreso poi il volume del torace, quando poi qualche giorno dopo è spirato, e la differenza di livello da sdraiato con il ventre, che è un po’ come pretendere di avere la pancia piatta da seduto, quando ci osserviano le sporgenze del nostro corpo durante le cene sontuose di cui siamo pronti a pentirci firmando la ricevuta della carta di credito. Ma certe cose succedono così per caso, come quando avvii la macchina e l’autoradio è gia sintonizzata su una stazione che trasmette that’s the way ah-a ah-a I like it ah-a ah-a e non puoi impedire alle persone di esprimere i propri gusti pessimi, nemmeno se sono responsabili della selezione musicale di un network commerciale. Così per assistere una persona che si ritira, non per sua volontà, dalla sua posizione di essere vivente è bene prepararsi perché viene da piangere, poi da ridere, poi da essere indifferenti, anche da rispondere a qualche chiamata di chi non è al corrente di tutto ciò, magari una telefonata di lavoro. Ci sono poi bustine di zucchero di canna da chiedere a baristi, precedenze da dare su strade urbane, ascensori da attendere con sconosciuti, decisioni da prendere, divisioni da correggere, giudizi da esprimere, persino turbamenti sessuali a cui dare sfogo o remprimere e codici da digitare. Fino al saluto conclusivo, quello che dai pur sapendo che è rivolto unilateralmente a membra altrui che non vedrai più, alla stessa cassa toracica che un tempo pompava aria a una voce da baritono, e non sai quando è il momento giusto per voltare lo sguardo, allontanarsi e dire addio.



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