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Da Calvino a Einaudi in 15 domande: intervista a Riccardo Gazzaniga

Creato il 22 aprile 2013 da Frailibri

310989_10201071633573686_1814266369_nRiccardo Gazzaniga ha pubblicato a fine marzo il romanzo A viso coperto, vincitore del Premio Calvino nel 2012 (qui la mia lettura).
In questa intervista non gli chiederò qual è il suo rapporto con gli ultrà, o se si sia mai trovato in mezzo a uno scontro e cosa abbia provato, né cosa significhi per lui far parte della squadra della caserma di Bolzaneto. Invito tutti a vedere l’intervista che la splendida Daria Bignardi gli ha fatto alle Invasioni Barbariche cliccando qui.

Vorrei invece ripercorrere con Riccardo (gran bella persona, oltre che scrittore con tutte le lettere maiuscole) il percorso che lo ha portato dall’essere un aspirante scrittore alla consacrazione ad autore con Einaudi Stile libero.
Hai detto di aver iniziato scrivendo racconti. Quando trovavi il tempo per concentrarti e scrivere?
Ho  iniziato a scrivere racconti intorno a 18 anni, saltuariamente. Poi, con il passare del tempo, ho dedicato sempre più spazio alla scrittura, anche se con i racconti brevi puoi scrivere senza troppa continuità  e mi ci dedicavo nelle ore libere. Per anni ho tenuto questi pezzi per me e pochissime altre persone, poi ho ricevuto un primo riscontro positivo da un editore che peraltro poi è fallito. Ma quel parere mi ha dato forza. Il passo seguente è stato partecipare ai concorsi letterari.

Quali erano i temi dei racconti? Ho letto che prediligevi gli zombi, è vero? O iniziavi a preparare le basi per quello che doveva essere il tuo saggio?

No ho scritto solo racconti, tanti,all’inizio. Oltre la metà erano horror alla Stephen King e Richard Matheson: ho spaziato dai vampiri, ai licantropi, ai fantasmi. Gli zombi veri e propri no, troppo brutali! Poi, gradualmente, sono passato a brani noir e quindi drammatici.  Queste due anime hanno continuato a convivere in me, perché prima di A viso coperto ho scritto il romanzo horror Vieni da me, segnalato al Calvino ma rimasto inedito.

Credo, comunque, che quell’esperienza “nera” influenzi ancora il mio modo di scrivere, specie nella gestione degli incastri narrativi. SI può creare molta suspense in qualsiasi storia, fosse anche una relazione amorosa.

Quando hai iniziato a pensare al saggio, quando scrivevi? Come Nicola, sul pc del tuo ufficio in caserma?

No, non ho mai scritto al lavoro, non solo perché non avrei la necessaria concentrazione ma perché non sarebbe neppure corretto. Scrivo quasi solo a casa.

Perché hai fatto diventare il saggio un romanzo?

Il saggio in realtà non è mai esistito in quanto tale. All’inizio avevo  in mente un altro progetto, volevo raccontare esperienze personali dei miei 17 anni in Polizia e analizzare insieme i temi dell’ordine pubblico e avevo raccolto del materiale sugli ultrà. Ma presto mi sono reso conto che avevo troppi limiti nel raccontare, perché molti aspetti delicati non erano adatti alle dichiarazioni di un poliziotto. Ma tutto quanto non potevo dire in un saggio, poteva entrare in un romanzo. I materiali che avevo mi sono serviti a costruire un “libro nel libro” con cui aiutare i lettori a comprendere alcune dinamiche altrimenti complicate.

Qual è stata la routine del tuo mestiere di scrittore? (Ti sei lasciato andare e hai scritto di getto, hai pianificato una scaletta, lavoravi la notte…)

Tendenzialmente io pianifico piccole parti, perché sulla base della mia esperienza di autore  tratto i capitoli come racconti e quindi so da dove parto e dove voglio arrivare. In corso d’opera cambio spesso lo svolgimento del romanzo, ma di solito ho alcuni momenti ben chiari, compresa la fine.

I tuoi personaggi sono molto reali, tangibili, completi, vivi. Li hai “progettati” in fase di stesura del romanzo o li hai lasciati vivere tra le pagine, avendo dei punti di riferimento?

Diciamo che li ho lasciati vivere, ma partendo da basi costruite a monte. Di norma prendo una persona reale o un’immagine cui ispirarmi per l’aspetto esteriore, decido i tratti caratteriali fondamentali, prendo alcune situazioni personali che ho vissuto e hanno toccato persone a me care e da questo mix nasce la prima forma del personaggio. Poi, via via che scrivo anche lui prende una sua autonomia in base a quello che gli capita.

Finito il romanzo, lo hai inviato alle case editrici o hai puntato dritto al Premio Calvino?

Per questo romanzo ho puntato al Calvino ,l’unico canale che avevo per arrivare ai grandi editori. Prima di partecipare lo avevo sottoposto solo a un grande agente, che lo aveva scartato dicendomi che era troppo lungo e troppo “carico” di cose.

Avresti mai pensato di vincere? Cosa hai provato/pensato quando l’hai saputo?

Ero alla terza partecipazione e avevo avuto una segnalazione due anni prima per un romanzo di vampiri. Il romanzo nuovo era forte, mi piaceva e pensavo che una finale fosse alla portata. Ma la vittoria era un sogno.

E quando hai saputo che Einaudi Stile libero aveva lottato per avere il tuo romanzo?

In realtà ho gestito direttamente tutta la trattativa con gli editori che mi cercavano, perchè non ho voluto affidarmi a un agente, dopo alcune delusioni precedenti. Quando ho ricevuto la telefonata di Severino Cesari, ho sperato che fosse quella definitiva, perché io volevo da sempre Einaudi Stile libero.

Hai scritto che il lavoro di editing è stato lungo ed emozionante. Mi racconti un po’ com’è andata?

La mia EDITOR Rosella Postorino mi ha presentato il romanzo con le sue correzioni iniziali, io le ho valutate per il primo editing, poi ne abbiamo fatto un secondo.  Alla terza tornata abbiamo limato le parti complicate dal punto di vista legale, con la consulenza di un avvocato. Nel frattempo un’altra persona, Roberta Pellegrini, impaginava ogni intervento. Poi ci sono state le letture con le correttrici di bozze. Più il tempo passava e più il romanzo era definitivo e meno modificabile: ogni intervento richiedeva l’impegno di più persone.

Noto che hai grande rispetto e ammirazione per il lavoro che ha fatto la tua editor; quali sono stati gli interventi che secondo te hanno migliorato il tuo scritto iniziale?

Rosella è una scrittrice, prima di tutto, quindi la sua valutazione editoriale è anche una valutazione artistica. È stato bello  confrontarmi con un altro autore e strano vedere che lei conosceva il mio testo ormai quanto me. Rosella è stata bravissima. In particolare mi ha aiutato a limare la lunghezza già imponente e a togliere le parti in cui il ritmo rallentava.

Hai scelto la copertina insieme ai grafici e all’editor oppure no?
L’ho scelta io, da solo e ne sono molto fiero.  È una foto cilena, di Pablo Rojas Madariaga, un artista giovane. Appena l’hanno vista, a Einaudi, hanno concordato che era quella giusta.

Cosa consiglieresti a un giovane autore che vorrebbe pubblicare il suo romanzo?

Di tenere duro e preferire la non pubblicazione alla pubblicazione con editori che non sono in grado di sostenere il suo lavoro. E di rifuggire da qualsiasi pubblicazione a pagamento.

Leggi tanto? Autori o genere preferito (oltre Stephen King)?
Leggo molto poco rispetto a quanto vorrei, per ragioni di tempo e fatica. Tra il lavoro e le attività legate alla scrittura sono spesso esausto e la sera, quando vorrei leggere, crollo dal sonno.  Come ti ho detto nasco appassionato di horror. A parte King amo molto Matheson, ho letto parecchio Koontz, Anne Rice. Di italiano mi piace tanto Niccolò Ammaniti, non mi stanca mai. E poi, negli anni, diversi libri legati al tema di A viso coperto, in particolare la trilogia di John King sugli hooligans inglesi e Genova sembrava d’oro e d’argento di Gensini.

Un libro che hai letto ultimamente e che consiglieresti…
 22/11/63 di King, un capolavoro assoluto dal punto di vista narrativo, dell’indagine, della profondità dei temi, della gestione dei personaggi.



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