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Da carcere a dormitorio. Nel nome di Don Antonio Silvestri

Creato il 04 gennaio 2011 da Radicalelibero
Da carcere a dormitorio. Nel nome di Don Antonio Silvestri

Don Antonio

Foggia – DON Antonio Silvestri sarebbe, oggi, il prototipo del prete di strada. Uomo di frontiera, sempre all’erta contro i pregiudizi sociali, le discriminanti economiche che dettano debolezza e forza, che stabilizzano le barriere fra primi ed ultimi. Nei primi anni dell’Ottocento, tempi in cui la Rivoluzione Francese predicava libertà, uguaglianza e fratellanza, Foggia – come e più di oggi – era feudo di sua Signora la Miseria. L’unica libertà concessa era il respiro, l’uguaglianza l’accomunazione docile fra straccioni incolti, la fratellanza un mistero della fede da scoprire nell’Aldilà celeste.

Nella Foggia di Don Silvestri c’erano terrazzani sempre troppo poveri e latifondisti sempre troppo ricchi. C’erano massoni illuminati asserragliati in viziosi circoli del sapere e braccianti morsi dalla fame. C’erano morti di stenti e di fatica, c’erano i chilometraggi infiniti per andare e tornare dalla terra.

Nella Foggia del 2011, le povertà hanno cambiato soltanto il vestiario. Mantiene il logorio storico, ma si adatta a nuove mode che, pure, sono sempre più rapidamente vecchie. Della Foggia del 2010, quella sommersa dai petardi e dalle pistolettate incaute, seppellita dai vecchi calendari e rifilata nella cortina del fumo nero dei cassonetti dati alle fiamme nella prima notte di insana follia del’anno, restano le immagini.
Restano quegli stessi barboni, accattoni di pasti e dignità che i giornaloni ormai ribattezzano clochard per ricomporre l’imene dell’anima di una società fracassata dal consumo smodato. Restano quelle stesse pelli arse dal sole e screpolate dal freddo, quegli occhi che, a prima mattina, scrutano i cassonetti alla ricerca del vestito, del calzone, del paio di scarpe. Restano le giubbe di jeans, residuati generazionali degli anni Ottanta, sulle spalle dei rumeni; vecchie tute di vecchi colori caduti in disuso vestite dagli albanesi; soprabiti con spalline a scaldare la slava al semaforo.

Nella Foggia spiantata di inizio millennio, Don Antonio sarebbe il raccordo che fonde senza confondere le diverse anime migranti. Senza distinzioni razziali e men che meno razzistiche; senza preferenze linguistiche e sessiste, religiose o anagrafiche. Ragion per cui, la confraternita di Sant’Eligio di Foggia ha affidato a “Foglio di Via”, piccolo organo che tenta di dar voce al disagio dei senza tetto diretto da Emiliano Moccia (Associazione Fratelli della Stazione), la proposta di intitolargli il nuovo dormitorio che sorgerà nell’ex carcere che, della stessa Confraternita, porta il nome.

INTITOLAZIONI.Le bagarre su nomi e titoli, si sa, muove spesso una necrofilia di fondo spesso fastidiosa. Altre volte si sedimenta nell’animo di una città che tenta, attraverso i nomi, un recupero della propria essenza vitale e storica. In molti casi, tuttavia, genera lungaggini e polemiche. Così è stato per l’intitolazione del Teatro del Fuoco al tenore antifascista Nicola Stame, ad esempio. Anni di dibattiti per infrangere un muro di gomma troppo coriaceo che, tuttavia, non si faceva scrupoli a piazzare, fra incroci e parcheggi, una Via Giorgio Almirante, altrove aborrita.

“UOMO CHE HA RINUNCIATO A SE STESSO”. L’operazione di intitolazione a Don Antonio, capeggiata dal pugnace priore Pompeo Papa, dovrebbe essere più semplice. Per “gratitudine del popolo foggiano”, per devozione verso un uomo che “ha rinunciato a se stesso per gli altri” e per rendere anche più rapidi i tempi di messa a regime del dormitorio. Tanto più perché, stando alla realtà dei fatti, il numero dei senza fissa dimora sale ed è destinato a continuare a puntare verso l’alto. Come in costante incremento è il tasso di gente che, annualmente, si rivolge alle verie sezioni locali dell Caritas Diocesana (le ultime stime diffuse per la provincia di Foggia parlano di San Severo, dove, nel 2010, sono stati distribuiti 55300 pasti ed accolte per la notte 32 persone)

DONNE SENZA TETTO. Una problematica che coinvolge, inoltre, sempre più donne. Nei nuovi locali, di proprietà dell’IPAB, che saranno ricavati dall’ex carcere, è previsto che, di 24 posti letto totali, la metà saranno riservati alle donne. Un concreto passo in avanti. Una maniera per venire incontro alle esigenze degli ultimi. Tanto più perché, ad oggi, la situazione è emergenziale e gli otto giacigli della Parrocchi del santissimo Salvatore non riescono a far fronte ad un fenomeno che rischia di tramutarsi da occasionale in perenne.

LINK: http://www.statoquotidiano.it/04/01/2011/da-carcere-a-dormitorio-nel-nome-di-don-antonio-silvestri/39795/

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