Che quell’uomo sia a disagio, lo si vede chiaramente. È irrequieto; cammina, si ferma, si regge su un piede solo, riparte di corsa; eccolo fermo ad un angolo di strada; si affaccia sulla strada successiva, peritosamente; sospira e si appoggia al muro. In realtà, egli è estremamente insoddisfatto della propria vita, ma delle origini di tale insoddisfazione ha idee assai confuse. Poteva essere, ha pensato, l’uso del tempo. Certi giorni i secondi corrono via come evasi da una clessidra adibita a prigione, ma spesso sono di ineguale grossezza e vivendo egli vi inciampa continuamente. Pensa che gli toccano ancora anni da vivere e non sa quanto saranno lunghi. Maneggia i bottoni mentali del tempo, ed ecco che quello si ferma del tutto; da un’ora all’altra passano dieci ore; i secondi sono lunghi quanto una strada, e la strada, si sa, è fatta sempre di quarti d’ora, ma quattro strade non fanno un’ora, fanno sei giorni. Il settimo è una piazza, e come l’attraversi, sbagli. Ha cercato di ammaestrare il futuro, e costringerlo a un ritmo meno defatigante. Ha comprato un grosso orologio, per insegnare il tempo al tempo, ma il tempo non impara se stesso. Se preme un altro bottone, il tempo corre, scappa, fugge. Le strade si accorciano, e se non frena subito, in una settimana la sua vita sarà finita e non avrà fatto niente per giustificare la propria nascita. Bisognerebbe inventare un orologio capace di catturare il tempo e costringerlo a tenere quel passo, sempre, tutti i giorni, tutta la vita. Ma un orologio così fatto, egli per primo farebbe a pezzi. Dunque, non può che cercare pattuizioni provvisorie, e infide, giacché il tempo non sta ai patti, non perché sia sleale, ma perché è a sua volta vittima del tempo. In realtà, come il signore scontento sospetta da qualche tempo, anche il tempo è scontento di sé, ma non riesce a risolvere il proprio disagio, perché non ha nessun modo, che non sia se stesso, per misurarsi; il risultato è, naturalmente, inutilmente giusto, e il tempo non sa mai se corre, se indugia, se sta fermo. Per questo il tempo chiede continuamente scusa a tutti, senza nemmeno sapere se è ragionevole che egli chieda scusa.
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Che quell’uomo sia a disagio, lo si vede chiaramente. È irrequieto; cammina, si ferma, si regge su un piede solo, riparte di corsa; eccolo fermo ad un angolo di strada; si affaccia sulla strada successiva, peritosamente; sospira e si appoggia al muro. In realtà, egli è estremamente insoddisfatto della propria vita, ma delle origini di tale insoddisfazione ha idee assai confuse. Poteva essere, ha pensato, l’uso del tempo. Certi giorni i secondi corrono via come evasi da una clessidra adibita a prigione, ma spesso sono di ineguale grossezza e vivendo egli vi inciampa continuamente. Pensa che gli toccano ancora anni da vivere e non sa quanto saranno lunghi. Maneggia i bottoni mentali del tempo, ed ecco che quello si ferma del tutto; da un’ora all’altra passano dieci ore; i secondi sono lunghi quanto una strada, e la strada, si sa, è fatta sempre di quarti d’ora, ma quattro strade non fanno un’ora, fanno sei giorni. Il settimo è una piazza, e come l’attraversi, sbagli. Ha cercato di ammaestrare il futuro, e costringerlo a un ritmo meno defatigante. Ha comprato un grosso orologio, per insegnare il tempo al tempo, ma il tempo non impara se stesso. Se preme un altro bottone, il tempo corre, scappa, fugge. Le strade si accorciano, e se non frena subito, in una settimana la sua vita sarà finita e non avrà fatto niente per giustificare la propria nascita. Bisognerebbe inventare un orologio capace di catturare il tempo e costringerlo a tenere quel passo, sempre, tutti i giorni, tutta la vita. Ma un orologio così fatto, egli per primo farebbe a pezzi. Dunque, non può che cercare pattuizioni provvisorie, e infide, giacché il tempo non sta ai patti, non perché sia sleale, ma perché è a sua volta vittima del tempo. In realtà, come il signore scontento sospetta da qualche tempo, anche il tempo è scontento di sé, ma non riesce a risolvere il proprio disagio, perché non ha nessun modo, che non sia se stesso, per misurarsi; il risultato è, naturalmente, inutilmente giusto, e il tempo non sa mai se corre, se indugia, se sta fermo. Per questo il tempo chiede continuamente scusa a tutti, senza nemmeno sapere se è ragionevole che egli chieda scusa.
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