La cultura umanistica, con i suoi ideali, si colloca nella prospettiva delle biblioteche, delle raccolte di codici, delle edizioni di classici e delle monumentali opere di traduzione e trascrizione germinate nell’ambito delle più diverse facultates del sapere. Del resto, tale attitudine era presente anche fra gli antichi. Il tema è vasto e non è questa, purtroppo, la sede per scandagliarne approfonditamente le pieghe; ci limiteremo a indicare alcuni scorci caratteristici che possano fornire al lettore lo stimolo per rivalutare il proprio rapporto con i libri e per ritrovare negli autori che via via citeremo (ma non solo), quei comites latentes, quegli amici invisibili, con cui empatizzare al di là di ogni vincolo spazio-temporale.
Derivato dagli autori antichi e sviluppato dal Petrarca, il topos della conversazione con gli antichi ha un immediato effetto in Boccaccio; si affaccia durante il primo Quattrocento nei Ricordi di Giovanni Morelli e nelle prediche di San Bernardino da Siena, ritornando nel Teogenio di Leon Battista Alberti.
Il 10 dicembre 1513, con la famosissima lettera di Machiavelli a Francesco Vettori, il vecchio topos del dialogo con i testi acquista un’indiscussa notorietà.
Dopo mezzo millennio e un anno, vogliamo oggi celebrare il valore di tali testimonianze.
![Da Cicerone a Petrarca, da Petrarca a Machiavelli: l’inestimabile valore dell’eredità autoriale Niccolò Machiavelli, Il Principe](http://m2.paperblog.com/i/262/2625090/da-cicerone-a-petrarca-da-petrarca-a-machiave-L-nnMCTd.jpeg)
Nel periodo in cui la Repubblica romana iniziava il suo declino, possedere una biblioteca era un’aspettativa impossibile da realizzare per chi non godesse delle risorse finanziarie necessarie; Cicerone, che non aveva mai disposto di ingenti fortune, fu spesso impossibilitato ad acquistare in blocco i manoscritti delle opere letterarie che avrebbe voluto nella sua collezione. Dovette, perciò, ricorrere necessariamente all’ assistenza di Attico, un editore e che fu suo caro amico, amato da Tullio di un amore profondissimo e superiore a quello che il retore nutrì per suo fratello.
Ne è testimonianza il carteggio che compone i 16 libri delle Epistole ad Attico.
Attico riuscì, probabilmente, ad acquistare in blocco in Grecia una pregevolissima biblioteca per Cicerone; ma questi stentava a mettere insieme il denaro necessario per il suo acquisto e molte sono le lettere in cui prega l’amico di pazientare e di non vendere il prezioso tesoro:
La biblioteca di cui mi parli, bada bene di non prometterla a nessuno, neanche se trovassi un collezionista arrabbiato (Att.1,10,4)
Non sappiamo per quanto tempo l’editore assecondò la sua richiesta e se alla fine Cicerone riuscì a riscattare i tanto desiderati libri; ma quasi commuove il poter constatare a distanza di secoli come analoghe esigenze trovino riscontro nelle parole di Petrarca, figlio spirituale dello scrittore latino, anch’egli impegnato in diversi carteggi nel tentativo di soddisfare una insaziabile librorum inquisitio:
nella Senile XV, ricorda la sua consuetudine di richiedere agli amici che partivano per dei viaggi in Francia, Germania, Spagna e Bretagna di ricercare per lui libri, e soprattutto testi di Cicerone.
Nella stessa Senile, l’entusiastica testimonianza del rinvenimento di due orazioni di Cicerone: la Pro Archia, scoperta a Liegi mentre faceva ritorno da Colonia, e di un’altra orazione spuria, di difficile identificazione.
Nella Familiare XIII si parla, invece, della diffusione che Petrarca diede della Pro Archia nella cerchia degli amici fiorentini: la generosità e la volontà di condivisione sono infatti primarie virtù per coloro che intendano approntarsi agli Studia Humanitatis, di cui la biblioteca rappresenta una sorta di luogo consacrato a riti collettivi di reciproco scambio, confronto e divulgazione, all’interno del quale il libro stesso diventa persona viva e addirittura superiore ai viventi.
Ho amato Cicerone, lo confesso, ho amato Virgilio, e del loro stile e del loro ingegno mi son compiaciuto più che d’orgi altra cosa; altri molti della schiera dei grandi ho prediletto, ma questi due mi furono, quello padre e questo fratello. A tanto amore mi spinse l’ammirazione e la familiarità contratta per lungo studio coi loro ingegni, così grande che appena avrei potuto contrarla con persone vive. (1)
![Da Cicerone a Petrarca, da Petrarca a Machiavelli: l’inestimabile valore dell’eredità autoriale Cicerone, Aratea, Costellazione del Cigno](http://m2.paperblog.com/i/262/2625090/da-cicerone-a-petrarca-da-petrarca-a-machiave-L-XubJVr.png)
Con l’invenzione della stampa assistiamo in un breve volgere di anni a mutamenti radicali della produzione, diffusione, raccolta e conservazione del libro.
Attraverso le tecniche più innovatrici e raffinate si risponde alle richieste di una nuova cultura, interessata non solo a nuovi testi, ma che ne rinnova la produzione e la circolazione e, prima ancora, l’immagine.
Già con Petrarca, l’umanesimo si presentò come una sorta di incontro corale di tutti gli uomini attraverso i libri, i quali, arricchendosi di sempre nuove suggestioni, divengono, nelle parole di Decembrio, memoria dell’umanità nel suo insieme:
La memoria degli uomini e quello che si trasmette di bocca in bocca, a poco a poco va in fumo, e a mala pena dura quanto l’età di un uomo solo. Quanto, invece, è stato registrato nei libri, perpetuamente rimane, insieme a quel poco di più che per avventura viene tramandato a noi dalla pittura e dai monumenti scolpiti nel marmo o fusi nel bronzo. Ma questi non riescono a indicarci con precisione il tempo, né facilmente ci dicono la varietà dei motivi e delle cause da cui le azioni dipendono. […]
Che bella suppellettile, i libri! che dolce famiglia, come la chiama Cicerone, frugale e ben costumata: […] i libri al nostro cenno parlano, a un altro tacciono, sempre pronti ai nostri comandi: tu li puoi stare a sentire quanto vuoi, e farli parlare di quello che vuoi. E siccome la nostra memoria tutto non può ritenere, anzi ritiene molto poco, penso che i libri debbano essere gelosamente custoditi da noi, quasi una seconda memoria, poiché essi, insieme alle lettere, sono il forziere comune che racchiude tutto quanto noi possiamo sapere e ricordare (2)
![Da Cicerone a Petrarca, da Petrarca a Machiavelli: l’inestimabile valore dell’eredità autoriale Incunabola del Canzoniere e dei Trionfi Petrarcheschi](http://m2.paperblog.com/i/262/2625090/da-cicerone-a-petrarca-da-petrarca-a-machiave-L-Zc1RPx.jpeg)
Ma torniamo a Machiavelli e alla lettera di cui in apertura si accennava, di cui riportiamo un passo:
Venuta la sera, mi ritorno in casa, et entro nel mio scrittoio; et in su l’uscio mi spoglio di quella veste cotidiana, piena di fango et di loto, et mi metto panni reali et curiali; et rivistito condecentemente entro nelle antique corti degli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo, che solum è mio, et che io naqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro, et domandarli della ragione delle loro actioni; et quelli per loro humanità mi rispondono; et non sento per quattro hore di tempo alcuna noia, sdimenticho ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tucto mi transferisco in loro. (3)
Questo brano, il più noto dell’epistolario machiavelliano, evoca con luminosa efficacia il connubio rituale e conviviale dell’intellettuale che si immerge nella lettura/conversazione/ragionamento coi testi.
Costretto all’esilio da Firenze e desideroso di tornare ad immergersi nella vita politica attiva, l’ex segretario non indugia sui meriti morali della lettura solitaria e non dimostra la benché minima tentazione ascetica. Mentre in Petrarca, in Boccaccio e successivamente in coloro che ne raccoglieranno l’eredità ideale, l’ Otium Letterario acquista la dimensione elitaria e discosta di una critica spinta fino al rifiuto della contemporaneità e del suo degrado; Machiavelli (coi suoi amici degli Orti Oricellari), il marcante Morelli e Bernardino da Siena raccomandano il dialogo con gli antichi nella prospettiva dell’operosità e del Negotium.
Morelli, ad esempio, vede nel dialogo coi libri un divertimento e un rifugio contro i colpi del destino, raccomandando l’abitudine della lettura come propedeutica alla vita politica e alla direzione dello stato: la frequentazione degli auctores è un tutt’uno con l’esperienza; ambedue sono compartecipi del perfezionamento personale. Il libro indossa fra le altre, nella sede dei Ricordi, una delle sue vesti più importanti: quella pedagogica. San Bernardino ne esalterà il ricamo finissimo dell’alacrità spirituale.
Diversi comportamenti culturali e mentali, insomma, molteplici le finalità.
Un minimo comun denominatore.
![Da Cicerone a Petrarca, da Petrarca a Machiavelli: l’inestimabile valore dell’eredità autoriale Biblioteca Vaticana](http://m2.paperblog.com/i/262/2625090/da-cicerone-a-petrarca-da-petrarca-a-machiave-L-sGiO95.jpeg)
- Petrarca, Fam. XXII 10
- A. Decembrio, De Politia literaria libri septem, Basileae, per Johannem Hevagium, 1562, pp. 99-100
- Machiavelli, Lettere
Bibliografia:
C. Bec, Cultura e società a Firenze nell’età della Rinascenza, Roma, Salerno Ed. , 1981
Maria Accame, Librorum Inquisitio. Petrarca e le Biblioteche Antiche
E. Garin, Umanisti a colloquio con i codici: il libro come memoria storica degli uomini, “Accademie e biblioteche” L (1982)