Una sorta di nuovo «caso Pinelli» in versione cubana dunque.
Questa la notizia che arriva dall'isola caraibica e che potrebbe rappresentare una svolta in quello che fin dalle prime ore si è subito profilato come un autentico giallo.
Mentre le autorità locali continuano a ripetere che l'italiano si sarebbe suicidato lanciandosi da un edificio qualsiasi, forse una «Casa particular» (case in cui si affittano stanze ai turisti) e lo hanno ripetuto sia all'ambasciata italiana a Cuba che all'Unità di Crisi della Farnesina, L'Eco di Bergamo tramite un giro frenetico di telefonate proprio ad Holguín, la località turistica dove Avelli ha trovato la morte alle 11 e 17 minuti di mercoledì mattina, ha scoperto un'altra versione, considerata più credibile ma più pericolosa – Cuba rimane un'isola governata da un regime militare – tanto che almeno tre gestori di «Casas particulares» del posto l'hanno confermata chiedendo però l'anonimato per il terrore di ritorsioni.
Le domande che ci ponevamo sabato (Roberto è caduto accidentalmente dal secondo piano o si è buttato, magari per sfuggire a qualcuno? O, peggio, è stato spinto? C'erano altre persone con lui nell'edificio?) con le nuove rivelazioni degli impauriti ma onesti cittadini di Holguin – molti dei quali sopravvivono proprio grazie agli introiti da turismo e tutti sotto choc per quanto accaduto – oggi assumono un tono totalmente differente e, proprio per questo, le analogie con il caso Pinelli sono palesi.
Sicuramente nell'edificio c'erano altre persone con Roberto Avelli, ovvero i poliziotti cubani, mentre l'ipotesi del suicidio viene a cadere definitivamente. Se, infatti, ci si vuole togliere la vita è assurdo farlo in un ufficio stranieri di una questura cubana. Più probabile, invece, che Roberto sia stato brutalmente spinto. Di sicuro fanno rabbrividire adesso le parole dello stesso Avelli che, nelle ore immediatamente precedenti la sua morte, aveva pronunciato tesissimo e allarmato ad un amico di Mozzanica, dicendogli che era seguito e che se gli fosse successo qualcosa di avvisare lui i suoi familiari.
Gli interrogativi aperti
E se la nostra ambasciata all'Avana dichiara di non sapere nulla di questa storia della questura, ma che avviserà l'ambasciatore per ulteriori indagini, le domande da porsi sono altre. Perché questa morte? Roberto aveva forse assistito involontariamente a qualcosa di molto grave e compromettente per alcuni pezzi grossi del regime cubano di Holguín? E perché, quando con i suoi amici arriva nella città di Camarguey, dopo un pesante viaggio in taxi di oltre 200 chilometri, decide all'improvviso di tornare indietro da solo ad Holguín? Non solo. Dopo avere chiamato l'amico di Mozzanica acquista un biglietto per rientrare il 13 in Italia. E soprattutto, perché alla fine non sale su quel volo? Infine, dove trascorre le notti del 13 e del 14 febbraio? L'unica certezza a sentire le autorità cubane è l'ora del decesso, le 11 e 17 del mattino di mercoledì 15 e, a questo punto, grazie alla clamorosa testimonianza degli abitanti di Holguín l'edificio da cui è precipitato, ossia quello dell'edificio dell'emigrazione.
A Mozzanica tutti ricordano Roberto come una persona onesta e perbene. «Era un uomo riservato, grande lavoratore», dicono i suoi amici. L'uomo era anche abituato a viaggiare, almeno una volta l'anno per staccare. Deve dunque essere accaduto qualcosa di veramente imprevisto per arrivare ad un finale così tragico. Intanto il corpo da quasi tre giorni è nell'Istituto di medicina legale dell'ospedale dell'Avana ma, spiegano dall'ambasciata italiana, «prima di domani non ci dovrebbe essere l'esito che, anzi, potrebbe arrivare addirittura mercoledì». Insomma, il giallo s'infittisce ogni giorno che passa.