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Immaginate quali effetti potrebbe avere abituarsi ad estendere questa domanda, al di là dei convenevoli della comunicazione telefonica quotidiana. Immaginate che significherebbe renderla propedeutica a ogni forma di comprensione di ciò che viene pensato, detto, ascoltato o letto, soprattutto quando si tratta di questioni di interesse generale o pubblico. In tal caso, si capisce, il "da dove" non dovrebbe essere inteso in senso topologico ma logico ed ermeneutico.
In realtà, si tratterebbe di allenarsi a mettere a fuoco, nella conoscenza e nella comunicazione, primariamente, non ciò che viene detto, scritto o argomentato, ma le pre-condizioni - culturali, psicologiche, sociali, economiche ... - a partire dalle quali qualcuno parla, pensa o comunica. Si sa che tali condizioni sono spesso inconsapevoli, al punto da giustificare la teoria di Lacan, grande psicanalista e filosofo del linguaggio, secondo cui il "penso, dunque sono" di Descartes, andrebbe piuttosto tradotto: "sono dove non penso", o "dove non so"! E anche qui il "dove" non ha un significato topologico, non ha a che fare con problemi di localizzazione. Piuttosto, ha a che fare con una questione non teorica, ma determinante, nella comunicazione e nella conoscenza, così come nella interpretazione e nella valutazione delle opinioni.
Perché accettare di essere così "subalterni" da assumere sempre ciò che viene detto - sulla stampa, in tv, o nella comunicazione pubblica in generale, - come un "dato" originario di cui discutere fino alla noia, invece di porci e porre, prima, la domanda: "da dove" costui parla?
Sarebbe bene abituarsi a questo esercizio, se non per altro, per una forma di "legittima difesa" della nostra salute mentale. O, in parole più appropriate, per una sana "ecologia della mente” e della comunicazione.
Nel caso fossimo disponibili, l’esercizio dovrebbe essere eseguito in due fasi.
In primo luogo, bisognerebbe cominciare con il chiarire "da dove" desumiamo, noi e gli altri, teorie e discorsi. Infatti, mentre, ingenuamente, tutti siamo abituati a considerarli soltanto, o prevalentemente, "nostri”, il parlare e il pensare hanno un carattere necessariamente storico-sociale e quindi sempre "situato". Esemplifichiamo nel modo più semplice. Chi di noi sarebbe quello che è senza il sistema della lingua con la sua struttura, i suoi termini, le sue categorie, i suoi concetti, e le sue presupposizioni? E quali concetti, quali categorie e presupposizioni linguistiche potrebbero avere significato a prescindere da determinate visioni della realtà, in essi già implicite, pur se inespresse? Non mi pare, quindi, che, noi o gli altri, siamo “autori” solitari o esclusivi, né quando pensiamo, né quando proferiamo discorsi.
In secondo luogo, chiedere: "da dove parli", vuol dire anche scoprire da quale prospettiva logica, da quale punto di osservazione, da quale condizione o "posizione", sociale o culturale, vengono elaborate ed espresse idee, teorie e discorsi. E allora, si tratta di portare alla luce, in noi stessi e nei discorsi dei nostri interlocutori, - leader, politici, "maestri", scrittori di riferimento, giornalisti, “esperti” e opinionisti, TG, programmi Tv, ecc. - quali interessi o quali gruppi sociali, quelle idee e quei discorsi, inconsapevolmente o meno, rappresentano ed esprimono. A meno che non si ritenga che esistano teorie o discorsi " neutrali" e "oggettivi". In realtà, idee, teorie, discorsi, anche quando sono presentati, e accolti da tutti, come disinteressate descrizioni del reale, hanno il loro “da dove”, il loro punto prospettico e la loro motivazione, in un “altrove” che sarebbe opportuno chiarire e aver presente, prima di cominciare a discuterli. E’ evidente infatti che la condizione in cui ognuno vive, fatta magari di interessi costituiti e di privilegi, o di ferite, determina il modo in cui si vede e si giudica il mondo. E quindi è opportuno considerarla.
E allora, chiedere: "da dove parli?", prima di accogliere e discutere discorsi, proclami e teorie, non mi sembra un problema teorico ma una decisiva questione di metodo. Metodo per una conoscenza non ingenua né eterodiretta. Ma anche garanzia di democrazia e di libertà.
Questioni senz’altro cruciali in questa nostra fluida e ipnotica era della comunicazione.
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