Una cosa senz’altro apprezzabile della rete (finché non la “spengono”) è la sua funzione di deposito collettivo di ciò che vi viene depositato. La possibilità così offertaci di rileggere alcuni articoli a distanza di qualche anno consente in tal modo di avere uno sguardo diverso sull’attualità e le sue polemiche.
Questo era “Il Giornale“, 24 marzo 2007 (sì, ve l’avevamo già scritto):
(…) Vi sono reati etici peggiori di quelli sanzionati dal codice penale. Se (un uomo delle istituzioni va a prostitute, e si concede un’escursione notturna a “Zoccoland”) non è per niente affar suo, ma di tutti. Un uomo pubblico che si rende ricattabile espone lo Stato a gravi rischi, al cui confronto l’estorsione diventa una bazzecola. (…)
Ma poi non lo sa, (qui ci si rivolge direttamente all’uomo delle istituzioni), che la Convenzione sulla soppressione del traffico di persone, ratificata dall’assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1949, recita: «La prostituzione e il male che l’accompagna, cioè la tratta degli esseri umani, sono incompatibili con la dignità e il valore della persona e mettono in pericolo il benessere dell’individuo, della famiglia e della società»? Non lo sa che la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea all’articolo 3 sancisce il divieto «di fare del corpo umano una fonte di lucro»? (…)
In ogni caso non si capisce perché debba godere d’un trattamento di favore rispetto agli altri cittadini, moralmente riprovevoli, che si mettono nelle sue stesse condizioni. (…) Sono i clienti ed i guardoni i primi responsabili dello sfruttamento e della riduzione in schiavitù di migliaia di esseri umani. (…)
Ma resta intatto il nostro diritto di cittadini a poter disporre di responsabili della res publica che non siano nemmeno lontanamente sfiorati dal sospetto di una qualche contiguità col mondo della prostituzione. Perché andare a puttane non è affatto una cosa normale. Anzi, è la scorciatoia per mandare a puttane prima i governi e poi le nazioni.Via “Nonleggerequestoblog“
Questa invece è “La Repubblica“, da un articolo di Giuseppe d’Avanzo (proprio lui!) del 19 giugno 2006.
“Il giornalismo italiano – tutto il giornalismo italiano, nessuno escluso – diffonde a piene mani intercettazioni non per fare informazione, per rispettare quel “patto etico” con il lettore che gli impone di rendere (anche con frasi rubate) comprensibile la realtà, di spiegare per quanto è possibile che cosa è accaduto e perché. Quelle frasi rubate sono pubblicate per mero scandalismo. Per voyeurismo. Il giornalismo c’entra come il cavolo a merenda”.
Via “Cerazade“
Lasciamo alla vostra intelligenza ogni altra ulteriore considerazione. Potrei azzardare una spiegazione, ma, sul serio, no.