Ho avuto il piacere di recensire il primo romanzo di Fabrizio, Il Cavalier Buffone poco tempo fa (trovate la recensione qui), un romanzo fantasy ben diverso dallo stereotipo da libreria, originale ed esclusivo che lascia grandi spunti di riflessione sulla vita e sul tormentato rapporto tra il desiderio e il raziocinio umano. Mi colpì molto l’amore con cui Fabrizio presentò il romanzo al blog, la decisione di recensirlo fu semplice e naturale e l’esito è stato più che positivo.
Il talento dell’autore è stato recentemente confermato dalla rivista Inkroci, un periodico di cultura e cinema, che in occasione di un numero speciale dedicato al mondo calcistico, ha scelto alcuni racconti a tema da pubblicare e tra quelli selezionati spicca L’amore ai tempi del pallone, proprio di Fabrizio Colonna.
La rivista è molto selettiva, motivo di grande soddisfazione per il nostro autore, il racconto è estremamente simpatico e strappa un sorriso con la sua semplicità ma lascia anche un’ombra di tristezza nel cuore dei grandi tifosi, di quelli che hanno amato il calcio come occasione di ritrovo e collante generazionale, non un semplice sport ma una fede, destinata a rimanere inviolata per tutta la vita. Una dimensione calcistica molto lontana da quella attuale, dove ormai ogni partita si fa scenario di una lotta tra pseudo-tifosi e dove le società nuotano nei ricavati di accordi e sotterfugi. Grazie a L’amore ai tempi del pallone abbiamo la possibilità di rivivere quell’epoca da sogno:
Siamo nel pieno dei primi anni 80’ Gaetano Scirea è l’eroe dei piccoli ma anche dei grandi dal credo bianconero, i primi amori sbocciano tra gli speciali di 90° minuto e per il piccolo protagonista esiste una sorta di nesso scaramantico tra l’esito delle partite della sua squadra del cuore e le sorti dei suoi primi appuntamenti con Rosy. Sono gli anni delle grandi collezioni, quando gli album dei calciatori erano una cosa seria, una sfida da vincere fino all’ultima figurina; nel racconto non mancano le simpatiche e classiche liti domenicali con il cugino o lo zio di fede interista. La storia è in parte autobiografica, ci ha confessato Fabrizio, ed è estremamente realistica: è uno scorcio della comune domenica degli anni 80’ (dedicata interamente alle partite di pallone) ma anche di come il calcio accompagni l’adolescenza di un ragazzino, cresciuto sognando il suo mito.
Abbiamo quindi voluto conoscere meglio il nostro autore facendogli qualche domanda:
1.Come nasce il racconto L'amore ai tempi del pallone e come ti sei sentito quando hai scoperto di essere stato selezionato per la pubblicazione in rivista?
Il racconto nacque per un'altra antologia promossa da La Gru Editore. All'inizio decisi di non partecipare, visto che non ero molto esperto di calcio e tantomeno tifoso, poi mi arrivarono segnali che il materiale pervenuto non era stato considerato adeguato. Pensai che, forse, potevo fare qualcosa, magari non partendo da una base puramente calcistica. Ideai così la storia di questi due bambini innamorati e pescai a piene mani dai miei ricordi d'infanzia. Una volta ero tifoso, quindi per quanto le regole oggi mi siano oscure, quei giorni sono ancora bene impressi nella mia memoria. Posso dire che tutta la parte iniziale sia molto autobiografica. Non avendo, però, una grande conoscenza della materia calcistica andai a chiedere aiuto a dei veri tifosi. Un amico, guarda caso, oltre a essere juventino aveva anche coperto il ruolo di Scirea, pertanto compensò le mie lacune tecniche e storiche, con le quali andai a completare il racconto. Purtroppo l'antologia non decollò comunque, così mi ritrovai il racconto nell'hard disk a prendere polvere virtuale. Accadde poi che la mia mentore, la scrittrice Amneris Di Cesare, mi fece conoscere Heiko, redattore di Inkroci, il quale mi fece presente che stavano proprio cercando materiale sul calcio. Questo nell'autunno 2014, lo speciale sarebbe stato pubblicato l'estate successiva. Seguii le procedure e inviai il racconto, dopo diversi mesi venni a sapere che erano interessati e alla fine me lo confermarono. Inkroci è una rivista straordinaria, molto selettiva e coraggiosa. La leggevo ma non essendo pratico coi racconti non le avevo mai inviato nulla: l'essere stato selezionato mi ha reso davvero molto felice, anche perché 'L'amore ai tempi del pallone' non è solo una storiella, ma un pezzo della mia infanzia. Sì, da quando l'ho scritto ci torno spesso sopra a rileggerlo e ogni volta mi commuovo. E mi ha fatto tornare interesse nel calcio. Sto proprio invecchiando.
Un racconto con una storia tutta sua ma che alla fine, nonostante le prime difficoltà, è riuscito a decollare raggiungendo il suo successo, un po’ come è stato anche per il romanzo di Fabrizio, Il Cavalier Buffone. Una strada tortuosa e tutt'altro che in discesa, piena di difficoltà, perciò ho chiesto all’autore
2.Hai avuto qualche disavventura per la pubblicazione del tuo romanzo Il Cavalier Buffone, hai mai pensato di abbandonare il tuo progetto?
Abbandonarlo mai. Quando lo concepii mi feci una sola promessa: qualunque cosa fosse successa l'avrei terminato. Il Cavalier Buffone era troppo importante, ci misi dentro l'anima, studiai, rimasi alzato fino a tardi e addirittura rimasi bloccato un anno intero sul racconto 'La Profezia del Grande Micio'. Pubblicarlo fu un'altra faccenda. I primi riscontri furono tremendi, il romanzo era ancora più lungo della versione attuale, i pochi beta reader che racimolai (possibilmente sconosciuti) lo demolirono per un motivo o per l'altro, sebbene tutti convenissero che fosse scritto bene. Almeno la forma era salva, mi dissi, il problema era l'ampiezza del contenuto. Mi unii al F.I.A.E. (Forum Indipendente Autori Emergenti) proprio a tale scopo: raccogliere più informazioni possibili per applicarle all'editing del romanzo. Nel mezzo sono occorsi molti test, tra cui anche partecipare a Dodicidio (un progetto che ha coinvolto tutta la comunità). Quando fui pronto, circa un anno dopo, tornai sul testo e mi accorsi che qualcosa in me era cambiato. Tagliavo e riscrivevo con naturalezza, non provavo pietà o dispiacere per le porzioni di testo che finivano nel cestino: Il Cavalier Buffone doveva funzionare a tutti i costi. Quando terminai e iniziai a mandare mail agli editori (pochi selezionati per catalogo e serietà), mi dedicai subito ad altro. Le risposte possono arrivare dopo mesi o anni o anche mai, quindi farsene una malattia era sbagliato. Meglio pensare ad altro. La prima risposta mi venne da Nativi Digitali, realtà che seguivo con interesse. Lo rifiutarono adducendo impossibilità a potergli dedicare le attenzioni dovute, ma assicurarono che lo avrebbero volentieri preso, se avessero avuto più personale. Io tenevo molto a pubblicare con Runa, sono un loro lettore e amo il loro catalogo, ma proprio in quel periodo stavano traslocando e, visto che erano trascorsi più di otto mesi, pensai al rifiuto fisiologico. Ignoravo i loro problemi, quindi quando mi arrivò la proposta di Lettere Animate accettai. Fu... molto weird venire a sapere che Pinton stava leggendo il testo e pensava di fare lo stesso. Quando me lo disse di persona, alla fiera del fumetto a Novegro, ci facemmo una risata. Ma voglio che sia noto ai posteri: mi sto ancora mangiando le dita.
La difficile pubblicazione del romanzo è pari alla dedizione con cui l’autore ha sostenuto la sua opera, ricca di ballate e di racconti, ma soprattutto di personaggi: uno tra tutti ha catturato molto la mia attenzione incuriosendomi, Il Viandante, e pensando all’autobiografico ne L’amore ai tempi del pallone mi sono chiesta
3.Hai detto che c'è una buona parte del racconto autobiografica, quindi mi chiedevo se fosse lo stesso per Il Cavalier Buffone, c'è un po' di autobiografico anche lì? Quanto c'è del Viandante in te?
Il Cavalier Buffone è stato costruito un pezzo alla volta e con molta attenzione, niente è stato lasciato al caso. Il Viandante è l'emblema di questa cura. Di solito il protagonista tende a essere l'alter ego dello scrittore, o di qualcuno a cui lui si ispira: il Viandante è l'alter ego del lettore. E' smemorato non solo per fini narrativi, ma anche per aiutare chi legge a imparare con la propria lucidità. Quando egli non capisce parole strane così fa il lettore ed è il personaggio stesso a cercare di chiarire in sua vece. Egli è curioso, pone domande agli altri e a se stesso, tenta di capire, di arrivare a una conclusione: chi sono? Perché sono così? Fino a chiedersi se vale la pena ricordare o se è meglio ricominciare daccapo. Per dirla tutta, il Viandante è come un Virgilio con la conoscenza di Dante. Sa di non sapere, eppure chiama a sé il lettore per accompagnarlo: proviamo, dice, scopriamolo assieme, io vado avanti. Questa curiosità e desiderio di sapere sono ovviamente una parte di me, come credo però lo siano di tutti. Il Viandante ha quindi elementi della mia persona, al pari di chiunque altro: è la curiosità e il desiderio di essere, di divenire, di scoprire, è la sete di conoscenza, lo stupore dell'infante e la prudenza dell'adulto. E' il lettore, quello che apre il libro e vuole vedere cosa c'è scritto dentro.
Un personaggio dai mille volti ma che lascia in noi grandi interrogativi morali, permettendoci di riflettere su qualcosa cui siamo soliti sorvolare distrattamente. Dal romanzo al racconto, dallo scenario fantasy fatto di foreste, paludi e castelli incantati ai campetti dell’oratorio, l’autore riesce ad adottare con facilità non solo uno stile ma anche una tematica totalmente diversa, conservando però la riflessione morale e dando un esempio di grande versatilità
4.Dal romanzo al racconto, sei un autore estremamente versatile viste le differenti tematiche dei due soggetti, ma hai una preferenza per uno dei due generi?
Parlando di formato preferisco il romanzo, ma solo perché ho molte difficoltà col racconto. Sono prolisso, o piuttosto quando comincio mi vengono in mente millemila cose da inserire nel testo e alla fine sono costretto sempre a tagliare. Il racconto, comunque, è già di suo un formato difficile perché necessita di sintesi. E' un esercizio che cerco di fare spesso, anche fallendo, perché aiuta. In termini di genere preferisco scrivere il fantastico, ovunque esso cada (fantasy, sci-fi, paranormale), mentre da lettore non mi pongo limiti. Leggere ha molti più vantaggi che scrivere. Prediligo la tematica fantastica perché con essa posso dare libero sfogo alla fantasia, anche la più strampalata, con il vantaggio di poterci pure infilare la morale, se mi va. Anche se a dire il vero prediligo l'evasione, la storia che diverta e faccia battere il cuore, al di là del sottotesto.
Leggere ha molti più vantaggi che scrivere , ma se provassimo a quantificare le svariate possibilità che la scrittura/lettura ci offre, dovendo fare un bilancio, ambedue i ruoli si vestono di grandi responsabilità: chi scrive regala al lettore una parte della sua intimità, ha a disposizione tutta la sua fantasia da cui poter attingere per costruire mondi e personaggi ma chi legge, ha il coltello dalla parte del manico, è lui a decidere le sorti del romanzo, la sua interpretazione è la chiave che apre o meno la serratura del successo. Adottando un punto di vista più poetico potremmo dire che il lettore è grato alla grandezza infinita della fantasia umana così come l’autore si meraviglia della capacità (riuscita o meno, dipende dai casi) concessagli di saper creare veri e propri mondi alternativi o storie incredibilmente originali. Fabrizio, con il suo stile di scrittura riesce a riproporre un realismo autentico a prescindere dallo sfondo tematico, trasforma in realtà qualsiasi fantasia ed arriva dritto al punto, una scrittura profonda ed assolutamente originale che non lascia nulla al caso. La scrittura è la vera protagonista di ogni romanzo ma può avere diversi significati per un autore perciò ho chiesto a Fabrizio cosa pensasse a riguardo
5.La scrittura può avere molte finalità, dallo svago al lucro ma può anche essere un aiuto, una dimensione in cui evadere nei momenti di difficoltà, una compagna di avventure. Tu cosa provi quando scrivi?
Un detto cinese dice che il kung fu è servo dell'uomo, nel senso che è uno strumento in grado di compiere azioni e raggiungere obbiettivi, così come fallire e far bene o male, a seconda dell'uso che se ne fa. Non ha una volontà propria, non nasce con un valore intrinseco oltre il quale perde efficacia. E' strumento, così come è conoscenza. Tale è la scrittura. Come leggere è un atto di evasione, ricerca di conoscenza o semplice tentativo di impiegare tempo residuo, così è scrivere. Tutti scrivono, in un modo o nell'altro. Una lettera, un post su Facebook, un sms, non sempre è 'ciao come va' oppure 'sto andando a mangiare', talvolta sono pensieri, espressioni di stati d'animo o ragionamenti complessi, così come preziose opinioni. Scrivere è uno strumento, un modo per esprimersi, leggere è acquisirlo e spesso entrambe le cose funzionano sulla stessa persona con il medesimo testo. Poniamo di scrivere per liberarci di un peso, a cose fatte rileggiamo e scopriamo di noi ben più di prima, quando eravamo partiti. Scrivere può essere un'ambizione, ma anche uno strumento di sfogo, liberazione e crescita personale. Al contempo è anche una dolorosa discesa verso gli Inferi, se affrontiamo tematiche che ci toccano da vicino, addirittura autobiografiche, potrebbero scatenare in noi molta sofferenza. Ho un'amica, da poco pubblicata, che ha affrontato la morte del fratello nel romanzo. Ne è uscita purificata. Nel mio ultimo manoscritto (inedito) ho rievocato una mia ex, scoprendo attraverso i miei ricordi i motivi di molti battibecchi, e ne sono uscito poco bene (per non dire che avrei preso a testate un muro). Scrivere mi ha anche aiutato a evadere da un periodo molto grave della mia vita, mentre vivevo una situazione di mobbing sul lavoro (che stava influendo sulla mia vita famigliare) e cercavo di uscirne: dedicarmi nel poco tempo libero a un romanzo mi ha aiutato a non sprofondare del tutto. E a uscirne, perché no? In una fase così grave col mondo del lavoro, specie nei tempi attuali, pubblicare un romanzo, terminarne un altro e, passatemelo, vincere due medaglie in una competizione marziale vorrà pur dire qualcosa
Oltre alla passione per il mondo letterario quindi, il nostro autore ha un debole per il mondo dello sport, come anche è facile intuire da L’amore ai tempi del pallone ma in realtà non è proprio il calcio il suo universo sportivo prediletto
Pratico e da poco insegno Thanh Long Vo Dao, uno stile di kung fu vietnamita elaborato dal maestro Le Kim Hoa, prima ancora ho studiato il kung fu della scuola Chang e lo Judo. I miei rapporti col calcio si sono interrotti dopo i mondiali del'90. Sono stato tifoso per tutta l'infanzia e gran parte dell'adolescenza, ma già al termine degli anni '80 ho iniziato a percepire un cambiamento che non apprezzavo. Troppi soldi, troppi gossip, troppe polemiche. Io vivevo il calcio come un'occasione di festa, la domenica a tavola con gli amici grandi e coetanei, zii, parenti e mio padre che imprecava. E anche le botte col cugino, esattamente come narrato nel racconto. Avevo una scatola da scarpe, non posso dimenticarlo, dove finiva ogni sorta di cimelio, dalla figurina alla foto di Platini tagliata dalla Gazzetta. C'era ogni genere di idiozia relativa al calcio che potessi raccogliere in giro ed era la mia scatola preziosa, la conservai per anni poi non ho idea di dove finì. Oggi non sono più tifoso, certo se la Juventus perde un po' mi spiace. Un po', perché nella maggior parte dei casi non me ne importa granché. Il calcio non mi fece nulla di male, non mi tradì: semplicemente cambiò e io rifiutai di seguirlo nella sua nuova strada. Quando sento parlare di Balotelli che fa il cretino in strada, o di Cassano ingrassato e di qualche altro beccato a concupire con la qualunque, a me viene in mente il composto Scirea che parlava della partita, Gullit che sorrideva e ringraziava i compagni, e poi tutti gli allenatori in carrellata, lo straniero che non si capiva davvero un accidenti e nel mezzo le azioni, i gol, l'esultanza, l'inquadratura che, per una volta, l'aveva azzeccata. Il calcio era un gioco. Puro, semplice, gioco. Per questo era divertente, anche se ero una schiappa entravo in campo e facevo la mia bella figura da incapace. Mi divertivo lo stesso. Ora non so più che cosa sia e non capisco se il problema sono io o lui.
Forse è vero che ogni generazione ha i calciatori che si merita, nell’era del trionfo dell’apparenza e della superficialità in cui purtroppo viviamo non ci sarebbe spazio per il composto Scirea che forse dopo essersi messo le mani dei capelli avrebbe cambiato repentinamente lavoro! Un’ultima domanda è rivolta al mondo degli esordienti, nel dare un consiglio a chi come lui si affaccia alla realtà editoriale e Fabrizio ha risposto così
Essendo io stesso un autore esordiente potrebbe avere valore un mio consiglio? Posso dire, anche a fronte di quanto detto fin'ora, ciò che ho fatto ma è importante affermare che non sono arrivato da nessuna parte, per molti aspetti nemmeno ho cominciato. Se escludiamo i sei anni spesi a creare il romanzo, posso considerare i tre successivi, durante i quali mi sono affacciato al mondo dell'editoria, con tutti i pro e i contro del caso. La prima cosa che ho imparato è che molti luoghi comuni e consigli che si ricevono all'inizio sono purtroppo veri. Quel 'non avere fretta', o rileggi bene, o il più drammatico 'studia la grammatica': non mi sono mai sentito così ignorante. Un consiglio, prezioso, che in molti ignorano: non siete nessuno. Quando mi ripeto la frase 'non sono nessuno' non distruggo il mio ego, bensì gli metto il guinzaglio. Finito il libercolo, in tanti si sentono bravissimi solo per esserci riusciti. Sì, vero, siete stati bravi, ma com'è il risultato? Non avete idea di quanti ho visto inalberarsi dopo aver fatto notare errori e problemi nel testo, specie quando è la storia stessa a non funzionare. Gente che ti toglie il saluto, che ti insulta, che va a rosicare dietro l'angolo e appena ne ha l'occasione ti attacca se magari hai scritto 'cico' invece di 'ciccio'. Mi sono fatto le ossa da recensore, nessuno mi ha regalato il testo (una volta, dai) per farne una recensione, così spendevo i risparmi, compravo roba che sembrava interessante e, dove avevo qualcosa da dire, lo scrivevo sul blog. Apriti cielo. Se recensisci un autore esordiente e ne hai parlato male, anche in modo cordiale, e quello lo viene a sapere potrebbe arrivare allo stalking puro. Pochi casi (ma pochi davvero) mi sono capitati in cui l'autore ha preso nota delle critiche e s'è dato da fare. Altri, piccati, sono venuti a farmi le pulci alla recensione. Mi chiedono perché non lo faccio più, rispondo no grazie mi sono rotto. Quando mandai in giro Il Cavalier Buffone a mendicare una recensione l'ho fatto con il terrore della stroncatura, ma l'ho fatto ugualmente. Non tutte le recensioni ricevute sono state positive, quindi devo inalberarmi? Fa parte del gioco, se non sai accettare le critiche lascia stare a priori. Il resto è duro lavoro, solo quello. Un gruppo di altri autori aiuta molto, danno consigli e massacrano all'occorrenza. Più sono duri, più hai materiale su cui lavorare. Oggi mi preoccupo quando non mi dicono nulla, penso se ne stiano fregando o che il testo proposto faccia talmente pena da non essere degno d'essere considerato. L'ultima esperienza, sempre vissuta sulla mia pelle, è quella che molti sottovalutano: leggete. Non avete idea di quanti 'scrittori' non leggono manco cartoline. Domanda: vi fidereste di un autore che non legge? Pensate che possa aver scritto qualcosa di buono?
Se dovessi rispondere a questa domanda sinceramente direi di no. Leggere permette non solo di ampliare il vocabolario e di affinare la cultura ma è un bene assai prezioso e pochi ne usufruiscono ahimè. Chi comprerebbe mai un libro scritto da qualcuno che non trova il tempo nemmeno di leggere il giornale? Ringrazio Fabrizio Colonna per la disponibilità infinita che ha avuto e per l’opportunità di intervistarlo regalandoci le sue esperienze, le sue soddisfazioni ma anche le sue difficoltà. Un autore cui auguro un grande successo soprattutto per l’umiltà e la passione con cui abbraccia l’ostile mondo letterario degli esordienti.
Non c’è miglior modo di conoscere un autore se non leggendo i suoi lavori, lì si nasconde il lato più intimo e personale di uno scrittore, perciò leggiamo sempre, anche per scoprire chi c’è dall’altra parte del libro.