da “Il Foglio” di oggi

Da Loredana V. @lorysmart

Da “Il Foglio” 3 settembre 2011

Meglio il metodo Renzi (anche nel Pdl)

Sfide aperte e primarie, l’antidoto a chi “aderisce per sabotare”

Il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, prosegue nella sua campagna per la rottamazione (che ora è disposto a chiamare più elegantemente rotazione) del gruppo dirigente del Partito democratico e preannuncia la sua candidatura alle primarie, che “devono esserci”. La sua interpretazione della “questione morale”, che rifiuta la superiorità della sinistra, si traduce in proposte di riforme istituzionali radicali ma ragionevoli. L’opposizione interna di Renzi, che è uno che ci mette la faccia esplicitamente, ha il pregio di non essere inficiata dai tatticismi dei tanti che aderiscono formalmente alla linea del segretario, per poi sabotarla nella pratica.

Le manovre in corso con la raccolta delle firme per un referendum elettorale che ha scarsissime possibilità di essere convalidato dalla Consulta, ma che mandano al macero la proposta di riforma che il parlamentino democratico aveva votato all’unanimità, sono un esempio di questa azione trasversale di logoramento. La logica delle battaglie interne trasversali non è peraltro un’esclusiva del Partito democratico, che l’ha ereditata per via diretta dalle vicende del Pci-Pds-Ds. Anche nel Popolo della libertà, che pure ha più il carattere di un partito contenitore, si intavvedono, magari dietro alle proteste per i tagli alle amministrazioni locali, le ambizioni di Roberto Formigoni o di Gianni Alemanno, peraltro legittime.

In realtà nessuno dei due maggiori partiti dispone di un meccanismo consolidato e accettato da tutti per il ricambio dei gruppi dirigenti, quello democratico ha fin troppe regole e procedure che si accavallano e si annullano, quello berlusconiano non ne ha, ma l’esito è pressoché lo stesso. E’ un limite grave, anche perché in assenza di una solida democrazia interna – che è la base per l’autonomia politica di un partito – le influenze esterne, non solo politiche ma mediatiche e giudiziarie, hanno uno spazio improprio per interferire e condizionare le scelte. L’idea che il gruppo dirigente dei partiti non debba influenzare il ricambio è ingenua e in fondo antidemocratica, però sarebbe bene che questa influenza si misurasse con il consenso dei militanti e degli elettori, attraverso meccanismi obbligatori di consultazione. In questo modo, peraltro, avrebbero giustamente più peso le proposte alternative esplicite, come quelle di Renzi, piuttosto che le più oblique manovre di palazzo.



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