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Da Kandahar, Afghanistan

Creato il 18 novembre 2012 da Cren

Da Kandahar, AfghanistanIn genere quando di una cosa non se ne parla è perché si vogliono evitare brutte figure. Sembra il caso di due importanti questioni internazionali: Afghanistan e ricostruzione di Haiti. Partiamo dall’Afghanistan dove il 5 aprile 2014 dovrebbero tenersi le elezioni e, nove mesi dopo, concludersi il ritiro delle truppe internazionali. Due eventi che, è facile prevedere, apriranno una nuova voragine nella sicurezza dell’Asia centrale.

Gli stessi canditati alle presidenziali americane hanno lasciato la vicenda in secondo piano (gli italiani si limitano a qualche visita di propaganda) per non far imbestialire i tartassati contribuenti a cui tutta l’operazione è costata USD 800 miliardi (alla faccia del fiscal cliff). E’ stato calcolato che mantenere uno dei 112.000 soldati costa circa USD 0,6 milioni all’anno (gli USA ne hanno 74.000 pari al 68%; l’Italia 4000 pari al 3%). Ma anche il ritiro delle truppe e dei mezzi costerà uin sacco di soldi ai contribuenti occidentali così come il mantenimento di alcuni basi strategiche dopo il 2014. Nell ’operazione Enduring Freedom si contano oltre 3000 soldati morti (di cui 52 italiani).

Gli osservatori e gli studi internazionali, dicono che, i grandi obiettivi della missione, non sembrano raggiunti. I Talebani contano ancora un esercito di circa 25.000 uomini; il governo Karzai si regge solo grazie alla corruzione e alla spartizione degli aiuti internazionali, situazione che mantiene, per ora tranquilli, i signori della guerra locali; non vi è segnale di nessun sviluppo sostenibile dell’economia; le istituzioni centrali sono considerate corrotte e fragili con scarso controllo su gran parte del paese; esercito e polizia afghane non risultano in grado di gestire la sicurezza una volta partiti gli occidentali, infiltrate dai Talebani nelle mani dei signori della guerra locali. Le aree di confine e tribali del Pakistan sono diventate un nuovo triangolo d’oro, incontrollate dal governo e in mano a bande che commerciano in tutto ciò che è illecito. Gli enormi profitti di questi traffici d’armi e droga hanno infettato il sistema bancario e finanziario di molti paesi asiatici, fra cui il Nepal.

Mi scrive l’amico Sunil da Kandahar: medico indiano, impegnato in uno dei pochi progetti del suo paese nella seconda città dell’Afghanistan, strategicamente fondamentale, fortezza dei talebani ed ora della famiglia del presidente eletto Karzai. Lì stanno costruendo delle Basic Health Clinics. Lui è musulmano e si perde nella popolazione locale ma ha, comunque, un po’ di paura. Si guarda in giro e vede una polizia sfatta, gli raccontano che, ogni tanto rapinano i negozi e che, qualcuno scompare nelle montagne con armi e bagagli per unirsi ai Talebani o a qualche brigante. Eppure solo per rinforzare la polizia e l’esercito afghano sono stanziati USD 50 miliardi all’anno; già si pensa che le armi, le belle divise e l’addestramento saranno usati per fare i briganti o per combattersi fra gruppi rivali. Nessuno crede che le forze di sicurezza rimarranno fedeli al governo centrale dopo la partenza degli occidentali.

I negozianti hanno vissuto tempi d’oro, i soldi degli aiuti, degli stipendi di militari e civili occidentali ed afghani finivano nei negozi del nuovo mercato di vetro dorato ma anche nei banchi di dolci e tessuti che riempiono il vecchio bazaar. Tanti soldi e tanta inflazione (stimata al 25% annuo) che colpisce chi è fuori dal circuito. I costi dei beni alimentari e degli affitti sono saliti spaventosamente nelle città. E’ un’economia drogata, senza prospettive; i venditori di dolci, di televisioni, i ristoratori già sono in depressione pensando al ritiro degli occidentali. Uno studio dell’ International Monetary Fund, stima che il paese non sarà in grado di auto sostenersi prima del 2023, se non ci saranno casini. Per questo la Conferenza dei donatori (Tokio, lo scorso luglio) prevede d’investire altri USD 16 miliardi nei prossimi 4 anni.

Sunil con le sue piccole cliniche fa qualcosa di utile ma i flussi d’aiuti hanno portato qui, come altrove, un immensa corruzione con migliaia di contractors (edilizia, vettovaglie, logistica, sicurezza, etc.) che se li sono spartiti a suon di bustarelle ai funzionari governativi. Nessun cambiamento strutturale nell’economia del paese, solo qualche palazzone, strada e ponte in più. Un rapporto al Congresso degli Stati Uniti racconta: Pouring large sums of money into less-developed economies with limited absorptive capacity creates both short-term and long-lived distortions. As a recent U.S. Senate committee staff report notes…Foreign aid, when misspent, can fuel corruption, distort labor and goods markets, undermine the host government’s ability to exert control over resources, and contribute to insecurity.”

Alla ricerca di un chicken Tika che gli ricordi Calcutta, Sunil parla un po’ con tutti: parrucchieri, insegnanti e traduttori, elettricisti, ristoratori e bancarellai, tanti lavori nati o sviluppati per gli occidentali e gli afghani arricchiti. Tutti si lamentano del malgoverno e della corruzione dei governativi (qui tutti imparentati con Karzai) ma quando gli occidentali partiranno gran parte del loro reddito e della loro sicurezza (questo decennio di relativa tranquillità è l’unica nota positiva del governo Karzai) è destinato a sparire. C’è chi ha già chiuso, chi è tornato nei villaggi, chi pensa a migrare. C’è un sentiment d’abbandono, racconta, d’insicurezza e Kandahar rimane anche una delle città in cui più frequenti sono gli scoppi di violenza (400 soldati sono morti dal 2001 nella regione) e gli attacchi suicidi contro poliziotti e militari come è accaduto nei giorni scorsi) sono raddoppiati dallo scorso anno, secondo i dati delle NU.

Gira per il moderno quartiere cintato di Ayno Maina , (un operazione immobiliare gestita dalla famiglia Karzai, il fratello Mahmod), il nuovo mercato di vetro, le antenne satellitari ma nota che molte case sono vuote e, spesso, come in tutta la città manca l’energia elettrica, malgrado siano stati comprati immensi generatori fermi per la mancanza di cherosene. In un ristorante al piano terra di un antico palazzo colorato come una torta nuziale, si ferma a bere il chha con un anziano afghano. Gli racconta dell’ultimo presidente filosovietico Najibullah che riuscito a sopravvivere fino a che da Mosca gli arrivavano USD 300 milioni al mese. Con il crollo dell’impero, e la fine dei soldi, tutto si è disfatto. I signori della guerra hanno ripreso a combattere, sono arrivati i Talebani e il carismatico presidente è stato appeso a un lampione. Nel 1992, In pochi mesi l’intera struttura statale scomparve. Una storia che riprende antiche dinamiche afghane, quelle Great Game, fra l’impero inglese e quello russo, quando mucchi d’oro spostavano fedeltà e alleanze in una serata.

Anche per il vecchietto, i Talebani sono un incubo, corrotti e cattivi peggio degli attuali governativi. Anche fuori dalle città, dove sono più popolari, in qualche villaggio la popolazione li ha scacciati. Ma restano forti, si calcola che il loro esercito sia composto da oltre 25.000 uomini. Il capo sembra ora il Mullah Zakir, uscito da Guantanamo, consegnato al governo afghano e rilasciato nel 2007, forse un altro a cui Karzai ha dato, per ora, una fettina di torta. La sua politica sembra sia quella di concentrare gli attacchi contro le forze militari, lasciando in pace i civili; contemporaneamente continuerà l’infiltrazione nell’esercito per raccogliere armi e militari addestrati. Questo racconta Sunil dalla capitale dei Pashtun, poi dei Talebani che vide passare, fra i tanti il suo fondatore, Alessandro Magno da cui, alcuni credono, proviene il nome.

Quanto si racconta nei ristoranti della città è confermato dai rapporti come quello dell’International Crisis Group (Icg) e da altri delle intelligence occidentali. Alla fine, saranno rimessi in ballo anche i russi sia per facilitare il passaggio delle truppe nelle ex-repubbliche sovietiche in Asia, sia per creare un cordone protettivo intorno all’Afghanistan, fatto di basi militari nel Tagikistan e nel Kirghizistan, con cui tutti stanno stipulando accordi (e versando finanziamenti).

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