Secondo l’ Arab American Institute, negli USA vivrebbero più di 3,5 milioni di persone di origine araba, i cui antenati emigrarono negli Stati Uniti e in Sud America a partire dal 1870-80. In particolare fu il Mashreq che rappresentò il principale bacino di provenienza degli immigrati di allora: il 62% degli arabi statunitensi di oggi avrebbe infatti origini libanesi, siriane, palestinesi e giordane. Erano per lo più cristiani, emigrati per motivi politici ed economici.
Di questa storia avevo parlato qualche tempo fa, quando avevo recensito quel bellissimo romanzo che è Come fili di seta, dello scrittore libanese Rabee Jaber, che nel libro racconta le storie dei tanti emigrati dalla regione siro-libanese nelle Americhe proprio nel XIX secolo. Jaber, con la sua prosa trascinante, ci aveva condotti per mano a cavallo degli Stati Uniti, seguendo le vite e le tragedie di questi lavoratori instancabili, profondamente attaccati alla propria terra d’origine, che avevano avuto un ruolo fondamentale nel costruire la storia degli Stati Uniti. E quando parliamo dei “primi” arabi d’America non possiamo non citare gli scrittori e i poeti che diedero vita a quel fiorente movimento culturale e letterario passato alla storia come la letteratura d’emigrazione, che ha il suo esponente più famoso nello scrittore ed intellettuale libanese Jibran Khalil Jibran.
Sempre secondo lo AAI, gli arabo-americani vivrebbero oggi sparpagliati in tutti gli Stati ma con una preferenza per le aree metropolitane come New York, Detroit, la California e il Michigan.
Gli arabi che si trasferirono a New York si concentrarono nella zona di lower Manhattan (quella del World Trade Center), che si riempì di negozi, ristoranti e caffè con la doppia insegna arabo-inglese e che passò alla storia con il nome di “Little Syria”.
Così la descrive Azzurra Meringolo in un suo recente audio-reportage per Radio3 Mondo:
Little Syria è la più grande comunità arabo-americana che si sia formata nella città di New York tra la fine dell’800 e la prima metà del ‘900. Il quartiere si nasconde nella punta sud occidentale di Manhattan, i primi immigrati arabi infatti si insediarono in quel reticolato di strade di Washington Street, lo stesso quartiere che poi sarebbe diventato anche la base di Wall Street.
Little Syria è stata per anni il punto di riferimento delle più grandi ondate migratorie provenienti dal Medio Oriente. Comunità vivace, multietnica e internazionale il quartiere però ha subito le conseguenze della riorganizzazione della città: la realizzazione del tunnel che collega Brooklyn a Long Island nella metà degli anni ’50 ha costretto la comunità all’esodo e, mentre Atlantic Avenue è diventato il nuovo centro della comunità araba, compaiono numerose campagne per la preservazione di quel che rimane della storica Little Syria, vivace scenario artistico e giornalistico del Medio Oriente oltre oceano.
Tornando nel Michigan, leggo che a Dearborn vivrebbe la più alta percentuale di arabo-americani, e di certo non è un caso se l’Arab American National Museum si trova proprio in questa cittadina. L’AANM, come si può leggere sul sito, è stato aperto nel 2005 ed è l’unico museo statunitense dedicato alla storia e alla cultura degli arabo-americani; l’obiettivo è quello di: “promuovere, preservare e celebrare la storia, la vita e i contributi degli arabo-americani”.
Tra i tanti eventi culturali organizzati, vale la pena menzionare senza dubbio lo Arab American Book Award, creato nel 2006 per “sostenere e incoraggiare la pubblicazione di libri che migliorino la comprensione e la conoscenza della comunità arabo-americana”. La giuria, composta da autori, artisti, docenti universitari e staff del Museo ogni anno assegna quattro premi nelle seguenti aree: Adult Fiction (narrativa per adulti), Adult Non-Fiction (saggistica per adulti), Children’s/ Young Adult (letteratura per l’infanzia/ragazzi) e dal 2008, Poetry (poesia).
Quest’anno i vincitori del premio sono stati: lo scrittore di origini libanesi Joseph Geha, con il suo romanzo Lebanese Blonde: la storia di due cugini libanesi emigrati a Toledo, nell’Ohio, che avviano un fiorente commercio per importare dal Libano un potente tipo di hashish, la Lebanese Blonde del titolo.
Per la sezione saggistica, la vittoria – postuma – è andata al compianto giornalista Anthony Shadid per il suo commovente memoir House of Stone, tradotto in italiano da Add Editore lo scorso anno con il titolo La casa di pietra.
La poetessa di origini palestinesi Hala Alyan ha invece vinto con la sua raccolta di debutto Atrium.
Nnella sezione letteratura per l’infanzia fanno bella figura Susan L. Roth e Karen Leggett Abouraya con il loro libro illustrato Hands Around the Library: Protecting Egypt’s Treasured Books, che racconta una storia vera: quella dei tanti manifestanti egiziani, tra cui studenti e librai, che nel gennaio del 2011 formarono una catena umana davanti la Biblioteca di Alessandria per proteggerla dai vandali.
La cerimonia di premiazione avverrà il 2 novembre presso lo stesso Museo.
Il Museo ha anche organizzato una mostra per celebrare la presenza araba a New York e il profondo legame che quella comunità ebbe fin dall’inizio con la città. La mostra si intitola: Little Syria, NY: an Immigrant Community’s Life and Legacy e qui potete vedere alcune delle foto scattate lo scorso anno il giorno dell’inaugurazione.
(So che questo post viene pubblicato in un momento critico per le relazioni tra Siria e Stati Uniti. Forse è utile ricordare che c’è stato un tempo nella Storia recente in cui le relazioni siro-americane non erano sinonimo di sospetto, guerra, inimicizia).