Pendolo partì di casa, come ogni giovedì mattina, alle sette e mezzo. Chiuse la porta con le solite tre mandate e s’incamminò verso la stazione. Lì avrebbe preso il treno che lo avrebbe portato a Cittàgrande, dove lavorava allo sportello dell’ufficio reclami di un Grande Magazzino specializzato nella vendita di elettrodomestici di tutti i tipi. Come ogni mattina lo aspettavano un sacco di clienti inferociti, già s’immaginava, sarebbe ritornato per l’ennesima volta il tizio arrogante a cui non funzionava l’aspirapolvere, ne aveva già comprati tre modelli (ma cosa ci faceva, quello lì, con gli aspirapolvere, vallo a sapere), e poi la signora in lacrime perché la lavatrice nuova si era mangiata il suo maglione preferito, e la ragazza un po’ svampita, in crisi perché il forno a microonde non dava segni di vita dopo appena una settimana dall’acquisto, e così via. Non che lui si intendesse di elettronica, anzi, le cose tecnologiche non lo avevano mai interessato particolarmente. Probabilmente quel posto di lavoro lo aveva ottenuto più per la pazienza e la capacità di rimanere impassibile di fronte alle scenate e offese dei clienti inferociti che per le sue effettive competenze. Ma, in questi tempi di crisi era bene tenerselo stretto, il lavoro, anche se non era proprio quello a cui aspirava.
Uscendo dal cancello del giardino, quel giovedì mattina, notò una luce strana: stava piovendo, il cielo era scuro, ma le strade, le case, erano insolitamente luminose. Alzando lo sguardo, rimase sorpreso da uno spettacolo inconsueto. Un gigantesco e brillante arcobaleno attraversava il cielo da nord a sud, un arco perfetto e completo, con tutti i colori dell’iride: rosso, arancione, giallo, verde, azzurro, indaco e violetto. Che bellezza! Uno così perfetto, erano anni che non ne vedeva, a pensarci bene, forse, non ne aveva mai visto.
È un segno, pensò. Decise di andare a vedere dove andava a finire, invece di andare al lavoro, non sembrava molto lontano. Nella peggiore delle ipotesi avrebbe preso il treno dopo e sarebbe arrivato in ritardo, il direttore del Grande Magazzino gli avrebbe fatto una bella ramanzina, ma, tanto, lavorando all’ufficio reclami, c’era abituato. Se fosse stato fortunato, invece, magari avrebbe potuto trovare la leggendaria pentola d’oro nascosta dal folletto, di cui aveva sentito raccontare quando era piccino.
Invece di andare alla stazione, si diresse verso sud, dove l’arcobaleno sembrava più vicino. Camminava con il naso all’insù, ignaro degli ostacoli che avrebbe trovato.
Attraversò la strada davanti a casa senza guardare, per poco non venne investito da un tizio in motorino che gli lanciò una sfilza di accidenti.
Proseguì sul marciapiede, dopo pochi passi si scontrò con una signora canuta con un paio di spessi occhiali da vista, che stava andando a fare la spesa. “E stia attento!”, brontolò. Se ne andò borbottando contro i giovani di oggi che non hanno rispetto delle persone anziane.
Attraversò la piazzetta, per fortuna senza intoppi, ed entrò nei giardini pubblici. Andava spedito, perché sapeva che l’arcobaleno non dura molto e gli sembrava che stesse iniziando a sbiadire un po’ nella parte centrale. A un certo punto sentì un “ciak”. No, purtroppo non era quello di un regista che dava il via alle riprese di un film con protagonista la sua attrice preferita. Era invece il rumore della sua scarpa sinistra che si scontrava con la cacca di un cane. Era gigantesca! Il produttore sicuramente era stato quel sanbernardo dei suoi vicini di casa. E, a giudicare dalla consistenza e dall’odore, doveva essere fresca di giornata. Maledizione, pensò, ma poi si ricordò che porta fortuna. Mentre si puliva alla meglio con un fazzolettino di carta, continuava a ripetersi: “E’ un altro segno, oggi deve essere la mia giornata fortunata”.
L’arcobaleno era sempre più sbiadito, doveva sbrigarsi. Riprese il cammino a passo spedito, continuando a guardare ancora per aria, invece che di fronte a sé, nonostante tutto quello che gli era successo. E infatti dopo pochi metri si andò a scontrare con un alberello dal tronco sottile ma la chioma folta, ancora piena di foglie colorate, anche se eravamo quasi alla fine di novembre. L’alberello tremò per la botta e si scrollò di dosso tutte le goccioline di pioggia cadute nella notte, facendo al nostro Pendolo una bella doccia.
Nemmeno questo lo fece desistere, continuò imperterrito a inseguire l’arcobaleno attraverso stradine, vialetti, scale. Gli sembrava di aver percorso un bel po’ di chilometri e che fosse passato un sacco di tempo, quando finalmente arrivò alla meta. Dell’arcobaleno era rimasto solo un piccolo spicchio e in fondo c’era… il treno per Cittàgrande in partenza dal binario tre! Non si era accorto che tutto il suo tragitto lo aveva portato dove si recava ogni mattina, sulla banchina della stazione.
Sulla panchina, un bambino suonava un motivetto allegro con un flauto di Pan. Guardandolo bene, quel bambino aveva la barba lunga e il viso pieno di rughe. Vedendo Pendolo, smise di suonare e si mise a ridere sguaiatamente. “Sei il folletto della pentola, vero? Dove l’hai nascosta?” E il piccoletto, riuscendo a fatica a calmarsi dalle risate, “Ti ho fregato, era dall’altra parte dell’arcobaleno!”
Era troppo deluso per mettersi a discutere, con un folletto poi. Se lo avesse visto qualcuno, lo avrebbe preso per pazzo. Pendolo rinunciò alla pentola d’oro, si godette ancora per qualche istante l’ultimo spicchio di arcobaleno rimasto e salì sul treno, pronto come ogni mattina ad affrontare la consueta sfilza di reclami e lamentele.
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