Magazine Poesie

da QUILIBRI, luglio 2013: Marco Bellini

Da Narcyso

1bellini_mCiò che risulta evidente in questo secondo libro di Marco Bellini, è il progetto di adesione alla necessità, oggi, di una poesia “onesta”, vicina, come del resto mi è capitato di dire per altri libri, alle istanze dell’umano. Questo progetto è perseguito attraverso l’affinamento, rispetto al primo libro, di una prosa di area lombarda, quindi del racconto e della descrizione anche di eventi minimi, un modo di procedere del resto accreditato dall’appartenenza a un retroterra culturale e antropologico discosto, ma ancora capace di resistere agli strattonamenti della modernità. Ne è prova, in funzione rafforzativa, la cartina dell’Adda posta a inizio libro, mappa geografica, certo, ma anche di un percorso interiore, unitamente alla citazione di Sereni: “Fatto è il mio sguardo più tenero e lento/d’essere altrove e qui non è più teso”, ad indicare un humus di provenienza ancorato al territorio, anche in funzione di piccolo epos, di dato esperenziale trasformato in occasione di riflessione. Il libro è quindi abitato da luoghi e persone cantati in microcontesti – almeno nella prima parte – e a seguire, la consapevolezza di un paesaggio umanisticamente ormai franto, da tempo abitato da estranei, schegge inconsapevoli di una omologazione che stritola tutte le anime negli ingranaggi del Potere. Queste anime tutte, diventano nel discorso di Bellini, i fratelli di uno stesso destino di spaesamento, di una stessa necessità di riscatto. La lingua, dunque, ha il destino di stare vicina, di assumersi una propria consapevolezza capace di toccare le corde della compassione e della pietà. Gli altri, insomma, ci abitano, abitano le nostre terre che neanche noi stessi conosciamo più, futuri reperti di un’archeologia che ci conterrà tutti. Così, nell’ultima sezione del libro, le geometrie si fanno liquide, instabili e Bellini sembra volersi soffermare sul poco che rimane, sulla storia di oggetti, di cose minime, intuendo che essere vuol dire appartenere a qualcuno, vuol dire essere padri nei figli e figli nei padri: “e tu cominci ora/ anche se non riconosci/ quel tuo sistemare l’orologio/ quello stare sospeso sui talloni che è mio/ cominci e ritorni/”una luce che è già stata”.
Sebastiano Aglieco


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