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Da Scampìa a Foggia, l’urlo di Don Aniello: “Di fronte all’illegalità, politica cieca”

Creato il 12 ottobre 2011 da Radicalelibero
Da Scampìa a Foggia, l’urlo di Don Aniello: “Di fronte all’illegalità, politica cieca”

Aniello Manganiello, a sinistra, con la professoressa Mariolina Cicerale (St)

Fggia – “Immaginate grandi viali a doppia carreggiata dominati da un palazzone costruito a forma di vela. Immaginate una struttura dove abitano centinaia di famiglie, in condizioni disumane. Immaginate una costruzione enorme, in cemento armato il cui intento era quello di riprodurre la cultura del vicolo”. Don Aniello Manganiello è costretto a fare appello all’immaginazione, all’evocazione. Sa però che quelle immagini opprimenti sono nel bagaglio visivo di tutta Italia. Compresse, forse, ma presenti. L’obiettivo è di ricrearle, di dar loro materialità visiva affinché tracimino dalla sua bocca agli occhi dei centinaia di studenti medi questa mattina presenti nell’aula magna del Liceo Classico Lanza. Ad invitarlo a parlare, per presentare il suo primo e unico libro “Gesù è più forte della camorra”, una squadra composta da Paolo Delli Carri, presidente del Forum dei Giovani e dal duo Giusi Trecca e Mariolina Cicerale rispettivamente Dirigente scolastico e docente.
L’UNICO RISCHIO E’ IL SANGUE - Don Aniello, a Scampia, c’è rimasto 16 anni (fino al 2010, prima di essere trasferito a Roma). E per tre lustri ha lottato a fianco della popolazione del quartiere napoletano, ha affiancato i ragazzi, cercando di costruir loro intorno un’impalcatura legalitaria. Ha compiuto azioni dure ed eclatanti, ha impegnato la sua personale sicurezza nella battaglia del quotidiano. Ha staccato l’acqua ai malavitosi, si è posto di traverso al monopolio economico, gli ha sottratto parti di territorio. Li ha sfidati sulla sua stessa terra. Già, perché, come tiene a sottolineare in tre distinte circostanze, “è importante avviare un processo di antimafia culturale, ma serve ancora di più prendersi dei rischi”. Poi, per non lasciare dubbi, specifica che vanno bene anche “quelli che Leonardo Sciascia chiamava professionisti dell’antimafia”, ma “per contrastare la camorre serve un passaggio ulteriore, serve il coraggio, serve il rischio. E l’unico rischio è il sangue”. Come dire, se scegli questa parte della barricata, devi essere consapevole della possibilità che qualcosa vada storto. La camorra affronta i problemi con la soppressione.
SCAMPIA, 80 MILA ABITANTI, 15 MILA PREGIUDICATI - Come quella volta che ha soppresso il sogno di un ragazzo vicino al sacerdote. “Voleva aprire un deposito di bibite, il che cozzava contro gli interessi della malavita. Così giunse il no della camorra e non se ne fece nulla”. Tutto a Scampia passa per il placet degli Scissionisti. Le attività economiche sono gestite dalla camorra, in maniera diretta o attraverso una serie di prestanome. Chi fa di testa sua, nel migliore dei casi paga il pizzo. Altrimenti è costretto a chiudere. O, in alternativa, a cedere la propria attività in maniera graduale. Un sistema che ricorre ovunque ci sia racket, dalla Puglia fino alla Sicilia, Passando per Campania, Basilicata e Calabria. Tanto per rimanaere a Sud. Fra i brividi dei ragazzi, assorti come in un film dell’orrore, don Aniello ci metta dentro le cifre. 80 mila abitanti, tasso di disoccupazione attestato al 70%, 15 mila affiliati ai o assoldati dai clan. Non c’è dunque da sorprendersi se l’80% degli abitanti adulti crede che ad incidere in positivo sullo sviiluppo del quartiere sia la mala, contro il 10% che riserva una buona parola per la Chiesa ed il restante 10 equamente spartito fra Stato e scuola. La camorra dà lavoro. Un corriere guadagna anche un migliaio di euro. Oltre ad avere, comunque, la protezione del clan.
CAMORRA: POLITICA COLPEVOLE - “Ma la camorra non è come Cosa Nostra o come la ‘ndrangheta. La camorra è frammentata, con molti interessi particolari, una miriadi di clan, gruppi, famiglie in contrasto fra di loro. Finisce così che, essendo pochi gli ambiti e tante le famiglie interessate, si giunge alla guerra”, illustra don Manganiello per spirito di chiarezza. L’importanza di comprendere il fenomeno riveste un ruolo cruciale nella prevenzione dello stesso. “E’ urgente – s’infiamma – far capire alla gente che la mafia è un boomerang, che salassa energie, che prosciuga risorse, che va a scapito della comunità”. Un’arma a doppio taglio che, comunque sia, ferisce chi crede d’impugnarlo ed invece ne è schiavo. Chiede un cambio di passo, più opposizione. Soprattutto, rivolge i suoi messaggi alle amministrazioni, alla politica. Al tavolo, il Comune di Foggia è presente nella persona di Matteo Morlino (Assessore Pubblica Istruzione) che, da un lato è stato capace di denunciare parte delle illegalità del territorio, ma, dall’altro, si è limitato a dire che, in fondo, c’è di peggio che stare a Foggia. Manganiello, però, non ha timori reverenziali. Camicia sbottonata e colletto bianco sporgente, crocifisso al collo, fissa nell’Aula Magna del Lanza un epigramma di Paolo Borsellino che, oggi come allora (quando venne citata, la frase, da Lirio Abbate e Peter Gomez, ne “I complici. Tutti gli uomini di Bernardo Provenzano, da Corleone al Parlamento”), fa tremare i polsi: “Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo”. E a Foggia si sono messi d’accordo spesso, mafia e politica e, insieme ai poteri forti del mattone e della terra, hanno sparso sangue sull’asfalto. Quello del costruttore antiracket Giovanni Panunzio e dell’esattore Franco Marcone. Ma anche quello di innocenti inconsapevoli e meno innocenti coinvolti appieno nel sistema. E proprio ai governi territoriali, manganiello lancia un monito: “Come fa la gente a denunciare quando, di fronte agli abusi, chi è addetto al controllo ed alla repressione gira gli occhi dall’altra parte?”
“COMBATTETE L’INDIVIDUALISMO” – Ai ragazzi che lo interrogano, alla fine, chiede di non essere chiamato “prete anticamorra”, perché “ogni sacerdote deve essere contro la camorra, per vocazione”. Ma anche di non aver paura (e anche qui torna il giudice Borsellino: “Chi ha paura muore ogni giorno”) e di scongirare la solitudine l’elitarismo: “L’individualismo è direttamente proporzionale alla crisi di legalità. Fate rete, mettetevi insieme, e sarete più forti”.

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