«Quindi di questo si tratta: un grave peccato sulla coscienza», attaccai. «Come vede, signor Tancredi, lei non è così diverso dagli altri visitatori dell’isola».
«Si sbaglia, dottor Pierre. La mia coscienza è a posto. Non siamo a questo mondo per caricarci sulle spalle gli errori altrui. E non perché qualcuno ha deciso di sbaraccare prima del tempo dobbiamo pensarlo in odore di santità».
«Quindi lei non ha nulla da rimproverarsi?».
«Nulla, dottor Pierre», replicò con l’abituale sicumera che riprendeva il sopravvento. «La debolezza di carattere non è medaglia da appuntare al petto di nessuno».
«Bisognerebbe eliminare tutti i deboli, signor Tancredi?».
«Non mi metta in bocca parole che non ho mai pronunciato, dottor Pierre; sebbene Aurelio debole lo fosse certamente: debole con i forti, forte con i deboli».
«Lei, invece com’è, signor Tancredi? Più misurato o più furbo?».
«Non capisco cosa intende, dottore?».
«Intendo che spesso la forza apparente è solo misura di una grande furbizia».
«La furbizia è una componente; senza una buona dose di furbizia un buon capo non andrà mai lontano».
«Costi quel che costi», borbottai.
«Le assicuro che Aurelio non era un virtuoso, piuttosto il contrario», rilanciò.
«Quindi meritava di morire? Oppure doveva morire perché era diventato una rotella inutile nel meccanismo? Un intralcio?».
Il signor Tancredi si alzò: «Dottore, non so come siamo finiti in questo insalubre pantano, ma non sono venuto per discutere simili faccende».
«Ah no?».
«La mia voleva essere una visita di cortesia. Se intende trasformarla in una seduta psicoterapeutica temo che dovrà fare senza di me». Così dicendo afferrò il cappotto e fece per indossarlo.
«Non si offenda, signor Tancredi», conciliai. «La tranquillità dell’isola invita a considerazioni oziose che non si farebbero altrimenti».
«Dipende sempre da ciò che si va cercando, dottor Pierre», fu la sibillina risposta. «Io cerco altro».
«E l’ha trovato?» domandai.
«Certo che l’ho trovato!» Ridacchiò: «Lei invece, al contrario di me, si sta perdendo tutto, caro dottore».
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Ieri mi sono fatto trovare sulla riva sabbiosa già al suo arrivo e lei non è fuggita. Si sta abituando alla mia presenza e io non vivo senza la sua. Vista da presso la sua pelle è liscia come una seta pregiata. I capelli sono lunghi e neri come un drappo imprestato da una notte senza stelle. Il viso è bello. Di una bellezza ferina. La sua vicinanza non mi sollecita particolari sensazioni se non la certezza di averla già incontrata. Conosciuta. Avverto un senso di familiarità sconcertante le cui logiche non riesco a spiegare.
La verità è che finalmente mi sento a casa. Quando siedo sulla spiaggia a pochi passi da lei mi sento a casa. Quando mi incanto a guardarla nuotare mi sento a casa. Quando mi perdo negli occhi tristissimi mi sento a casa. Accanto alla donna che è tutte le mie donne è venuto meno anche il senso di non appartenenza. E non mi sento più solo.
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