Tornai in camera per prendere sciarpa e cappotto, volevo fare una passeggiata nel circondario, prendere aria. L’andito al primo piano dell’albergo mi si presentò più caliginoso di sempre e per la prima volta mi avventurai ad esplorarlo. Nel petto il cuore batteva come il battacchio del cancello di Sidhe, mentre percorrevo lo stretto passaggio che girava ad angolo alla fine del corridoio e, sulla destra, portava nell’ala che pareva riservata ai domestici. Mi bloccai, il signor Tancredi usciva dall’ultima porta in fondo. Girò il pomello come a richiuderla, si guardò intorno e si diresse veloce verso le scale interne dirimpetto alla camera. Scale che avrebbero dovuto portarlo sul retro del palazzo, immaginai; o forse direttamente nel suo giardino. O per ciò che ne sapevo io fin dentro le profondità infernali dell’isola da dove egli pareva venire.
Il labirinto di campi incolti, addormentati, le stalattiti scintillanti che pendevano dai rami dei radi alberi o dagli spuntoni audaci delle rocce che chiazzavano l’interno dell’isola innevata, tutto si faceva ammirare. Esplorando il terreno ghiacciato, mi accorsi che la temperatura non era così bassa come suggeriva il panorama cristallizzato, c’era invece una sorta di tepore rivitalizzante nell’aria, simile al calore che si respirava a Sidhe. Andai verso Nord, verso il luogo segreto di Margherita e del signor D, verso le grotte e la piccola spiaggia renosa che faceva la barba al loro cappuccio calcareo.
Non era uno spirito smarrito, di questo fui subito certo: era una giovane donna. Infagottata in un abito multicolore, se ne stava seduta su uno spuntone di roccia liberato dalla neve. Una figura insolita, un’apparizione, per il tempo, la posizione, in controluce. Ma reale, forse. Aggraziata dalla morbida chioma corvina che le avvolgeva le spalle, alla maniera di un prezioso scialle. Guardava verso il mare impastato di ghiaccioli erranti. Poi si voltò, lenta, e mi puntò gli occhi addosso con uno sguardo intimamente triste. Una sirena? La silfide che viene coi sogni? Nel poco tempo che mi occorse per aggirare la collina e arrivare sulla riva era sparita.
La singolare esperienza accrebbe il mio malumore per il resto della serata. Al rientro in albergo evitai la cena in comune: bramavo la solitudine che il cottage mi regalava ed ero deciso a ritagliarmela anche a Sidhe. La notte scende presto sull’isola d’inverno e con l’arrivo delle tenebre le finestre della mia stanza diventarono sinistre fauci che mi affrettai a nascondere con tendaggi pesanti. Mi infilai a letto e mi dedicai alla lettura di un romanzo imprestato dalla fornitissima soffitta di Aisling. Ma la pace durò poco.
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