di Rina Brundu e Giuseppe Leuzzi.
Mark Reutmann si unì al nostro gruppo come assistente tecnico dell’esperimento SUSY2, ma sapevamo che la sua era un’assunzione politica, propedeutica ai molti cambiamenti nell’organizzazione che ci sarebbero stati da lì a sei mesi col prossimo pensionamento del direttore Antonino Russo.
«Si annunciano tempi duri», commentò Frank Sisini, lanciando uno sguardo nella direzione di Reutmann. «E guarda come ha galvanizzato le colleghe, quest’ultimo arrivo eccellente!».
«L’arrivo del Don Giovanni dei poveri, vorrai dire», risposi senza degnarmi di alzare lo sguardo verso il tavolo indicato. Quel dì la mensa era quasi deserta e si poteva stabilire una ideale distanza mentale, oltre che fisica, tra un gruppo e l’altro.
«Dovrai fartela passare», continuò Sisini con una sfrontatezza che non gli era tipica.
«Cosa intendi?» lo fulminai lasciando il cucchiaio pieno a mezz’aria.
«Che dovresti tentare di dimenticare i vostri passati dissapori o tra qualche tempo non potrai più lavorare», spiegò.
«Lo vedremo: se pensano di venire a dettare legge anche qui si sbagliano».
«Chi?».
«Lo sai bene chi! Non mi stupirebbe se il piano neppure troppo segreto fosse di smantellare il collisore, o di ridicolizzarne i risultati», continuai.
«Stai esagerando al tuo solito, dottore» ribatté Sisini.
«Esagero? E questo che pensi?» domandai. «Spiegami allora quale è la logica che ha determinato questo avvicendamento. Con tutti i validi uomini di scienza che hanno l’esperienza per gestire questo esperimento unico al mondo, perché scegliere un fisico semi-sconosciuto, neppure tanto brillante e che si è fatto notare solo in virtù dell’opposizione con cui ha accolto le mie teorie?».
«Anche per fare il direttore tecnico occorrono delle qualità», cominciò Sisini.
«Leccare deve essere una!».
«E la diplomazia è un’altra», Sisini continuò senza farsi smontare. «Una qualità distribuita in un qualche giorno di tua assenza ingiustificata!».
Sapevo quanto l’imperizia diplomatica mi danneggiasse, ma non ritenevo che potesse giustificare una scelta tanto avventata, dopo tutto l’esperimento era mio, l’avevo pensato e voluto io.
«Ti dico che se vuoi continuare a stare qui dovrai adeguarti, non avrai scelta» tornò alla carica Sisini.
«Vedremo», mi difesi. «Un completo discredito scientifico in occasione dell’annuale conferenza ne incrinerebbe la candidatura, il Consiglio d’amministrazione più equilibrato non potrebbe ignorarlo».
Sisini non replicò ma mi guardava preoccupato.
«A proposito della conferenza, ho visto che Eleonora viene indicata come tua assistente tecnica personale», disse cambiando argomento.
«Perché lo è», confermai. «Non posso fidarmi di nessun altro. Questa presentazione è troppo importante, e tu lo sai bene, Frank».
«Proprio per questo ho trovato strano che tu le abbia passato così tante responsabilità».
«Parli così perché non la conosci, Eleonora è il miglior fisico sperimentale con cui abbia lavorato. È precisa e pratica. Inoltre è ambiziosa, farebbe di tutto per di essere nella squadra vincente», lo rassicurai.
«Non lo metto in dubbio!» concluse Sisini alzandosi: «Non ho più appetito!»
Gli avvenimenti che seguirono quel particolare colloquio mi sono rimasti impressi nella memoria in maniera confusa quando non andati perduti completamente. Facendo tesoro dell’avvertimento del collega, il quale gettava ombre nefaste sul mio futuro al CERN, decisi di stringere le maglie sulla sicurezza intorno al materiale di ricerca e ai risultati degli esperimenti che avrei illustrato. Oggi però c’è un solo fotogramma di quei giorni concitati che è invece rimasto ben fermo nel ricordo. È il titolo a caratteri cubitali in prima su un noto quotidiano internazionale finito sulle scrivanie di ogni ufficio della nostra organizzazione e nelle edicole di ogni città: Fantasmi al CERN. Una reductio ad absurdum mediatica delle mie speculazioni scientifiche, la quale veniva esplicitata riprendendo la frase usata da Reutmann quando, dopo la presentazione con la quale avevo dimostrato l’esistenza d’una probabile particella supersimmetrica nell’unico luogo dove avrebbe potuto trovarsi prima di decadere, si alzò e con fare plateale smontò la mia tesi punto per punto, minimizzandola, schernendone l’approccio tecnico, ridicolizzandomi davanti alla comunità scientifica riunita.
Come mai Reutmann, un nuovo arrivato, aveva a disposizione così tanti dettagli sull’esperimento SUSY2? Chi glieli aveva forniti? Chi era stata la talpa che si era fatta gioco del mio lavoro di una vita? Dopo due giorni di catalessi mi alzai deciso a domandarglielo di persona. Uscii dal mio bungalow la sera del terzo giorno e mi precipitai nell’appartamento di Reutmann. Afferrai il pomello della porta, spinsi senza bussare, la porta si aprì. Vagai come un ossesso tra le stanze cubicolari fino a che non li trovai a letto insieme, il futuro direttore tecnico del mio esperimento e la mia enigmatica assistente, Eleonora.
«È vero che mi avventai su di lui, forse persino su di lei, ma dubito molto che con una corporatura così delicata e gracile come la mia, io possa avere arrecato troppo danno. E comunque so per certo – spiego fissando l’ispettore negli occhi – che quella sera tornai a casa. E dormii nel mio letto».
Ma l’uomo che mi sta seduto davanti non sembra avere mutato i suoi convincimenti. Mi rendo anche conto che non mi ha fatto domande. C’è solo una diversa linea empatica nello sguardo. Vorrei che mi credesse però, per qualche ragione, sconosciuta a me stesso, vorrei che mi credesse. Mi pare importante.
«Se nutre ancora dei dubbi, ispettore Rovati, chiami lo Studio Legale Dinari. Chieda dell’avvocato Giusti e si faccia dare il dettaglio della nostra conversazione serale. Gliela confermerà in tutto. Si accorgerà che io non le ho mai mentito; che ho sempre detto la verità».
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Aisling
Il Direttore
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