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Da SIDHE – Sul vizio insito nell’esame di coscienza…

Creato il 09 ottobre 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
SIDHEHa ragione il pittore Plinio: Aisling è un luogo che ispira e io sono solo l’ultimo dei suoi abitanti che si sono seduti a questo scrittoio a raccogliere i loro pensieri. Sono settimane che non vado a Sidhe. Queste giornate vuote mi soddisfano ma drenano lo spirito. Vivo sopraffatto dall’indecifrabile fato del giovane D e i ricordi dei momenti trascorsi insieme. Quale era stato il terzo errore? Perché chiedeva perdono? Quali erano i peccati da espiare?

Ripensarsi è faticoso e si rischia l’ipocondria, la mollezza dell’animo. È il vizio insito nell’esame di coscienza, per quanto buona pratica e pia, nella mania di riflessione che i maggiori rimemoratori di se stessi si rimproverano, Rousseau, sant’Agostino. Si riesce magari a dominare anche il ricordo, a farsene scudo contro il mondo esterno o la sua cattiveria, ma si finisce preda di se stessi, delle proprie “inquietudini inquiete”, indistinte ma grevi. Dalla riflessione nasce la menzogna, è stato detto: questo forse non è vero, ma è vero che quanto più immaginaria è una vita,  o lo è un dolore, allora non c’è argine all’errore. L’ipocondria è un male terribile, “la capacità di estrarre veleno da ogni cosa”, come dice l’aforista, per sé e per gli altri. La memoria è esercizio delicato – la memoria, s’intende, del passato, non questa, che adesso s’impone, come se venisse dal futuro, che non è possibile, almeno una legge del tempo è invariata, il dopo non può venire prima.

Tutto sta diventando uno svolgimento interno. Per la prima volta metto in dubbio la liceità della mia condotta. Mi domando se l’accettazione della proposta dell’avvocato Giusti non sia stata in qualche modo avventata. Un errore. Perché precipitarmi tra queste rocce freddolose, correndo il rischio di venire tacciato di vigliaccheria da Papetti, da Reutmann e da Eleonora? Cosa avrà pensato Frank Sisini della mia partenza improvvisa? Che non avevo retto lo stress? Che doveva accadere? O che avevo preferito rinunciare ai sogni e al lavoro di una vita piuttosto che venire a patti col diavolo?

Dopo tanto, oggi mi sono avventurato fuori casa. Le giornate si sono accorciate e debbo profittare dei rari momenti di luce. Ho preso la via delle scogliere penitenti che circondano il forte megalitico come fosse la strada obbligata. Dentro e fuori l’antica costruzione ho vagato a lungo; mi sono steso a terra e avvicinato carponi fino al bordo dell’abisso. Ho fissato le onde frangersi sul costone roccioso, seguito il volo pesante di uccelli singolari, ponderato sul corso delle nuvole e sull’orizzonte uggioso. Sulla via del ritorno mi sono spinto fino al porto e ho contemplato la desolazione della linea costiera d’inverno.

«Cosa stava facendo, dottor Pierre?».

Il direttore ha cambiato maniere, ma le domande che pone restano impertinenti, sebbene nell’accogliente studio, le nostre conversazioni acquistino un gusto più intimo.

«Voglio sapere perché è tornato al forte», insiste. «E cosa stava cercando dentro e fuori il monumento, in fondo alle scogliere o nel porto desolato?».

«Ammetto, direttore, che su un dato livello stessi cercando delle risposte».

«Forse, degli indizi?».

«Perché no, direttore? Gli uomini non cambiano mai troppo rispetto a ciò che sono veramente, non importano le circostanze, non importano le isole sperdute nell’oceano dove per fato o per malasorte approdano. Ed io ero e resto un uomo di scienza».

«E li ha trovati?».

«In absentia».

«Si spieghi meglio, dottor Pierre».

«Voglio dire che anche il non trovare indizi può essere un indizio». Non starà il direttore, dietro la bonomia e la generosità, ancora dubitando di me? Non è uno sbirro, ma è evidente che dubita. Attende in silenzio che io venga al punto.

«Il fatto è, direttore, che non ho trovato niente. Niente orme, niente erba calpestata, niente tracce di passaggi recenti, niente lunghi capelli canuti, niente brandelli di stoffa impigliati tra i cespugli, niente di niente».

«Capisco».

«Capisce? Io no», replico fissandolo. «Vede, direttore,», ripresi, «qualche segno dei traffici recenti ci sarebbe dovuto essere!».

«Però aveva piovuto, grandinato, diluviato», mi fa notare. «Non l’ha detto proprio lei, dottor Pierre?».

«Ma quel quotidiano pellegrinaggio al forte lo avevamo fatto per giorni, settimane, tutti quanti noi: invece, nulla!».

«Nulla, dottor Pierre?».

«Nulla, tutto intorno al forte, dentro e fuori, e giù lungo il sentiero che conduce al porto, era come se nessun essere vivente vi si fosse mai avventurato prima; come se la terra non fosse mai stata calpestata prima».

«Che ne pensa di una possibilità meramente allucinatoria per spiegare quei traffici?». Il direttore intende provocare, con una nuova baldanza.

«Me lo chiede perché la ritiene probabile o perché la considera l’unica alternativa possibile?».

«Glielo chiedo perché è stato lei a dire di voler seguire un metodo logico, scientifico, in questo percorso di… conoscenza. Se lo ricorda, dottor Pierre?».

«Ha ragione, direttore», mi alzo dalla poltrona per sgranchirmi le gambe. Fotografie di Maria e di una famiglia felice mi guardano da vari punti della stanza. Il ritratto di una giovane donna bionda dallo sguardo dolcissimo è appeso alla destra della scrivania. Il tocco dell’artista è lontano dallo stile di Plinio, ma lei mi arriva viva.

«L’ipotesi allucinatoria è  la più probabile al momento. Specie se pensiamo a quanto è accaduto dopo», continuo. «Plinio sosteneva che l’isola soggioga e incatena lo spirito. Lo lascia in balìa di altri spiriti più scaltri che hanno imparato da tempo ad incantare l’anima».

«Non la seguo, dottor Pierre».

«Eppure è semplice», replico. «L’impressione a posteriori è che l’isola vivesse di regole naturali proprie».

«Leggi fisiche?».

«O giù di lì», confermo, a disagio.

Il direttore si alza come a segnalarmi che la seduta è finita.

«Domattina debbo recarmi presto in clinica», dice.

Per la prima volta mi sarebbe piaciuto restare ancora seduto su questa poltrona.

«Non sarà lei che mi sta nascondendo qualcosa, direttore?» domando prima di lasciare lo studio.

«In che senso, dottor Pierre?».

«Negli ultimi giorni, o meglio, da quando mi sono trasferito nella sua casa, ho come…».

«Dica, dottor Pierre. Dica!» ordina.

«Ho come l’impressione che lei sappia qualcosa che  io non so. Qualcosa che ho dimenticato o non ho mai saputo. È così?».

«Può essere», risponde. «Tutto può essere, dottor Pierre».

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SIDHE


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