di Iannozzi Giuseppe
Homo doctus in se semper divitias habet, scriveva Fedro. Significa pressappoco questo: “L’uomo dotto ha sempre con sé le sue ricchezze”. A chi si rivolgeva il caro e buon vecchio Fedro con questa sentenza…? Simonide naufragò, come ci racconta Fedro nella sua favola, ma ricco del suo sapere riuscì comunque a ottenere vesti, denari, servi ed onori, mentre gli altri naufraghi che erano con lui, perdute le ricchezze materiali che prima del naufragio avevano in gran copia, rimasero a becco asciutto o peggio. Fu proprio lui il primo di una serie di poeti lirici che fecero della subordinazione e della produzione letteraria su committenza a scopo di lucro la propria professione. Fedro ce lo racconta con magnanima amorevolezza, ma chi fu realmente Simonide? Un poeta non ispirato dalle Muse, bensì un uomo che lavorava su committenza, un uomo disposto a calpestare tutto e tutti pur di avere un danaro in più nella sua borsa. Simonide viene oggi ricordato come uomo avido, avaro, sporco. Ma sono anche molti quelli che dicono di Simonide che fu il primo esempio di poeta laico. Resta però il fatto innegabile che un avaro è e rimane sempre un avaro, e il mondo ieri come oggi è ricco soprattutto di uomini avari: poco importa che vengano bollati di laicismo o di cristiana santità.
Chi fu dunque Simonide? Fu il poeta dei tiranni, di coloro che dietro compenso lo incaricavano di scrivere. E seppur io gli riconosca che aveva un gran stile, ch’era uomo di gusto e di memoria, come dimenticare che scriveva per chiunque lo pagasse sull’unghia e profumatamente?
Leggiamo il Simonide di Fedro:
“Il sapiente ha sempre con sé le sue ricchezze. Simonide, che scrisse straordinarie liriche, per sopportare più facilmente la povertà, si mise a girare per le famose città dell’Asia, cantando, dietro compenso, le lodi dei vincitori. Divenuto ricco con questo tipo di guadagno, volle ritornare in patria viaggiando per mare; era nato infatti, come dicono, nell’isola di Ceo. S’imbarcò su una nave, che, essendo vecchia, si sfasciò in mare aperto a causa d’una terribile tempesta. Ecco dunque alcuni raccattare le borse, altri gli oggetti preziosi, come mezzo per mantenersi in vita. Un tale, alquanto incuriosito, gli chiese: “E tu, Simonide, non prendi niente delle tue ricchezze?” “I miei beni”, rispose, “li ho tutti con me”. Pochi scamparono a nuoto, i più perirono, appesantiti dal carico. Sono lì pronti i briganti, rapinano quello che ciascuno aveva portato in salvo, li lasciano nudi. C’era vicino l’antica città di Clazomene, dove i naufraghi si diressero. Qui, dedito allo studio delle lettere, viveva un tale che aveva letto spesso i versi di Simonide e ne era grandissimo ammiratore, pur da lontano; riconosciutolo proprio dal modo di parlare, lo volle assolutamente accogliere a casa sua; lo rifornì di vesti, di denaro, di servi. Intanto gli altri naufraghi andavano in giro con il loro quadretto, mendicando da mangiare. Simonide, quando per caso se li vide davanti, esclamò: “Vi avevo detto che tutti i miei beni li avevo con me; quello che voi avete arraffato in fretta e furia, è andato in malora”.
In maniera molto elastica, senza guardare troppo ai dettagli, si potrebbe dire che Simonide fu il primo a cercarsi dei mecenati, quando questi non erano ancora diventati moda imperante; bisogna difatti aspettare quattrocento anni buoni perché Gaio Cilnio Mecenate nascesse accogliendo fra le sue braccia Orazio, Virgilio, Properzio. Mecenate sostenne però anche il regime imperiale di Augusto ed invitò Virgilio a scrivere l’Eneide per magnificare Roma e il suo coraggio di fronte al mondo allora conosciuto. Virgilio essendo sotto l’egida di Mecenate, alla fine, accondiscese alla richiesta e iniziò l’Eneide, ma con una certa svogliatezza. Il poema epico nasce in un clima non troppo felice, difatti la Repubblica era caduta e la guerra civile aveva sbriciolato la società. I valori di Roma, i più antichi e nobili, sono stati dimenticati, seppur si viva in tempo di pace. Per reagire a questo ad Augusto non resta che tentare di ridare alla società romana i valori morali tradizionali, e l’Eneide commissionata da Mecenate a Virgilio dovrebbe servire a restituire all’Urbe la memoria. Virgilio scrive l’Eneide prendendosi non poche pause. Il poema viene scritto senza un vera ispirazione, ma Virgilio non si può sottrarre all’impegno: ciò spiega, almeno in parte, il motivo per cui l’Eneide abbonda di lacune, di dimenticanze, di errori pacchiani. Virgilio fa morire un personaggio in un Libro e dopo qualche accadimento lo ritroviamo vivo e vegeto, senza che Virgilio ci spieghi in alcun modo come ciò sia stato possibile, se per qualche intervento degli Dei o che altro. La leggenda vuole che Virgilio scrivesse del poema solo tre versi al giorno. Nonostante l’alto stile, l’Eneide è un poema incompleto: probabilmente Virgilio non ha avuto il tempo di completarlo né di rivederlo. Sempre la leggenda vuole che sentendo le Pàrche vicine, Virgilio abbia dato ordine all’amico Vario di bruciare il poema incompleto. Vario non obbedì all’amico e Augusto, dopo aver ordinato un modesto editing sul testo lasciato da Virgilio, lo fece pubblicare così com’era.
Torquato Tasso, con la sua Gerusalemme liberata, ebbe non pochi tetri ripensamenti durante la stesura: doveva difatti stare molto attento a non fare involontario dispetto alla corte estense, al cardinale d’Este, e ovviamente alla Chiesa tutta. Il duca Alfonso II d’Este lo fece segregare nell’Ospedale Sant’Anna, quella che oggi è ancora ricordata come la cella del Tasso. Ci rimase per sette lunghi anni. Dalla sua prigionia scrisse diverse lettere a vari signori pregandoli di ridargli la libertà, ma niente. Durante la prigionia fu pubblicata, senza il suo consenso, un’edizione non corretta della Gerusalemme che comprendeva solo i primi 14 canti (su venti che erano) e chiamata Goffredo di Buglione. Fu così costretto a pubblicare da sé la Gerusalemme liberata: la nuova versione uscì nel 1581. Finalmente il 12 luglio 1586 fu liberato per intercessione dei Gonzaga. Tuttavia la Gerusalemme liberata sollevò un mare di polemiche, e Torquato Tasso fu fino alla fine della sua vita divorato dalla paura d’aver sbagliato a scrivere la Gerusalemme. Morì a 51 anni, senza il becco d’un quattrino e fu sepolto nella Chiesa di Sant’Onofrio al Gianicolo, dove si era recato in cerca d’un seppur minimo sollievo spirituale.
I mecenati furono gioia e dolori per un po’ tutti gli uomini di lettere, impegnati nell’Arte o nelle Scienze. Gli artisti accolti da un mecenate dovevano stare bene attenti a non dispiacere alcuno. Simonide era invece felice di cantare le gesta di tiranni e di chiunque altro lo pagasse.
Oggi l’invito che si fa agli scrittori in erba è quantomeno bizzarro: imparare a scrivere leggendo i fumetti. Non dico che ciò non sia possibile, ma solo se la tua aspirazione massima è scrivere thriller triti e ritriti, gialli e noir, e fantascienza a basso costo e prezzo, allora sì, puoi leggere anche solo fumetti. Anzi, è consigliabile leggere solo e solo quelli. Tuttavia, nel più favorevole dei casi, il divoratore di fumetti rimarrà sempre e solo un thrillerista dell’ultima ora, perché i fumetti sono spesse volte assai meglio di tante schifezze pubblicate e fatte passare per capolavori del giallo, del thriller e via dicendo.
Qualche anno fa si consigliava agli aspiranti scrittori – di genere – di cominciare a leggere Emilio Salgari, oggi si consiglia loro di imparare dai fumetti, domani dalla pubblicità nella buca delle lettere! Ciò spiega perché le nuove generazioni non sanno scrivere se non in maniera stereotipata, per cui ogni storia per ogni autore è sempre la stessa: cambiano soltanto i nomi dei personaggi, ma io lettore posso cominciare a leggere il libro di Tizio e stanco di Tizio passare tranquillamente a quello di Caio, tanto il plot è uguale per entrambi, solo i nomi di personaggi e geografie cambiano. Un dettaglio, che presto diventerà meno ancora d’un dettaglio, ahinoi!
Così, portare oggi un semplice consiglio, quello di studiare a fondo il Boccaccio, Dante, Leopardi, il Manzoni, Verga, invece di leggete pacchi e pacchi di fumetti di cliché, può mettere a serio rischio chi ha osato tanto: bisogna difatti stare bene attenti che non ci sia in ascolto, nascosto nel folto del traffico cittadino e della monnezza straripante dai cassettoni, qualche Tarzan in sovrappeso pronto ad annodarti ben stretta la cravatta!