“Ogni essere umano è teatro”
Questa affermazione può incuriosire, la si può condividere o rigettare, ma è stata il punto di partenza per una forma di comunicazione sociale che oggi ha ramificazioni in tutto il mondo: il Teatro dell’Oppresso.
Nel teatro ci si serve della voce, del corpo, delle espressioni ed emozioni, di un alfabeto gestuale che viene riproposto quotidianamente da ogni persona nella propria vita.
In ambito sociologico è stato Erving Goffman a utilizzare il mondo del teatro e delle maschere per riferirsi all’agire quotidiano dell’individuo che si muove nella ribalta della società.Ogni essere umano, infatti, è capace di recitare-agire, ogni persona produce azioni e osserva gli effetti di queste nell’ambiente circostante.
Proprio partendo da tali evidenze sociologiche e dalle potenzialità insite in ogni individuo-attore sociale, Augusto Boal, allora direttore del Teatro Arena di Saõ Paulo, dà vita nel Brasile della dittatura degli anni Sessanta, al Teatro dell’Oppresso. La prima ispirazione arriva dalla pedagogia di Paulo Freire secondo la quale il teatro può essere vissuto, da coloro che si trovano nella condizione di “oppressi”, come linguaggio e strumento che gli permetta di conoscere il circostante in maniera critica.Boal si pone in favore degli oppressi, cerca attraverso l’elaborazione di tecniche e giochi teatrali di far prendere coscienza delle varie situazioni, cause e conseguenze del rapporto asimmetrico tra oppressi e oppressori.
Gli oppressi sono coloro che per ragioni culturali, politiche, sociali, razziali, sessuali ed economiche vengono privati del proprio diritto al dialogo, o comunque sono danneggiati e ostacolati nell’esercizio di questo. Le tematiche affrontate dal Teatro dell’Oppresso possono riguardare problematiche di estensione mondiale quali la fame, il sottosviluppo, l’analfabetismo, la lotta alla violenza fisica e psicologica, la difesa dell’ambiente e la promozione della convivenza pacifica.
È il dialogo a occupare la posizione principe, visto come chiave per un libero scambio fra le persone, nel pieno rispetto delle differenze che ognuno porta con sé nel mare dell’umanità.
Il Teatro dell’Oppresso si pone come strumento di liberazione di chi si trova in situazioni di vessazione, inducendo queste persone all’azione, al cambiamento, aiutandole a prendere coscienza di sé e delle proprie capacità. Si parte dall’ipotesi che “tutto il corpo pensa”, per cui si prende in considerazione l’essere umano nella sua globalità di corpo, mente, ed emozioni. Da qui si opera un’analisi collettiva in cui il gruppo dei partecipanti è direttamente coinvolto nella ricerca di soluzioni alle problematiche poste.
L’idea del Teatro dell’Oppresso è infatti quella di creare l’azione scenica per arrivare all’azione reale.
La liberazione dalle situazioni di oppressione non è induttiva, è una liberazione collettiva che poggia proprio sulla presa di coscienza autonoma delle persone, un modo per renderle responsabili, concretamente attive e partecipi della propria vita.
Si crea così nei gruppi che partecipano a esercizi o giochi di Teatro dell’Oppresso un percorso di maieutica dove il porsi interrogativi è la prima tappa di un viaggio di liberazione e affermazione della propria dignità. Non esistono affermazioni giuste o sbagliate, ma tutto ciò che ogni individuo porta di sé, della sua interiorità, delle sue relazioni può essere utile alla liberazione reale dalle situazioni di oppressione.
Il pubblico è chiamato ad agire, a relazionarsi con gli attori-protagonisti delle loro vite, a passare dalla condizione di semplici e passivi spettatori a quella di “spett-ATTORI” partecipi dell’azione scenica.
Esistono associazioni e laboratori di Teatro dell’Oppresso anche in Italia e si occupano di volta in volta di tipologie di gruppo differenti che hanno sempre, però, lo scopo di portare al dialogo, alla pace relazionale, alla giustizia sociale.
Nel video viene mostrato un laboratorio di Teatro dell’Oppresso che utilizza il la tecnica del “teatro immagine” in cui, attraverso le sculture corporee, vengono esplorate le possibilità di linguaggio, significato e interpretazione dei codici corporei legati alle parole di una canzone.
Nel video che segue, invece, viene mostrato un esempio di “teatro forum” dove la rappresentazione di situazioni oppressive, facilmente riconoscibili dal pubblico, porta alla trasformazione dello stesso in attore-protagonista.
In questo caso vengono portate in scena le problematicità e peculiarità dell’Africa, dalle credenze nei rituali e nelle antiche convenzioni tribali, fino alla piaga dell’AIDS. Si arriva poi al coinvolgimento diretto del pubblico che entra in scena, e si prosegue col dibattito e il confronto sulle possibili soluzioni.
Il Teatro dell’Oppresso rappresenta una delle tante modalità per fare comunicazione sociale in modo concreto che, attraverso l’arte, il lavoro sul corpo e sulle emozioni, riesce a rendere protagonisti i singoli individui, permettendogli di agire in prima persona e capire le motivazioni dei loro comportamenti. Un maggiore stato di coscienza delle proprie azioni è il fondamento primario per una spinta all’azione individuale e collettiva.
“Non basta aver coscienza del fatto che il mondo deve essere trasformato, bisogna trasformarlo” (Augusto Boal)
Luisella Cossu