Come scriveva il grande generale prussiano von Clausewitz “La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi. La guerra non è, dunque, solamente un atto politico, ma un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi”. Invertire i termini della questione, ribaltare l’assunto clausewitziano, come spesso ha fatto qualche teorico a “bischero sciolto” (vedi Guattari il quale ha trascinato in questo delirio pure Deleuze), o, persino, qualcun altro ancor più rispettabile, con elevatissimi meriti filosofici nelle analisi della natura del potere (come Foucault), vuol dire stravolgere completamente il senso delle cose, rovesciare la realtà a testa in giù e renderla inintelligibile alla ragione, fino all’oscuramento della capacità interpretativa di determinanti fenomeni storici e sociali. No, la frase di von Clausewitz va bene così com’è stata pronunciata dall’autore, nel suo significato originario, ed è in tal maniera che va applicata agli inevitabili conflitti insorgenti tra nazioni e anche all’interno di queste, ostilità che possono transitare eccezionalmente dall’suo delle armi. Nel caso dell’Ucraina non ci sono dubbi. I vertici governativi russi sono passati alla fase diplomatica dopo aver mostrato i muscoli all’Occidente che aveva organizzato e guidato un colpo di Stato anti-Cremlino a Kiev. Per certi versi, e dati i tempi, Putin ha ottenuto il massimo possibile dalla situazione, il controllo di fatto delle regioni del sud-est, la loro autonomia regionalistica, amministrativa e finanziaria (almeno secondo gli accordi con Poroshenko), all’interno di un’apparente integrità territoriale dell’Ucraina, che da un lato gli consente di essere presente sul terreno con persone fidate e dall’altro di esercitare un’influenza sulla capitale per condizionare i prossimi equilibri dirigenziali. Puntare direttamente sulla separazione del Donbass, con il riconoscimento immediato delle repubbliche secessioniste, sarebbe equivalso ad ammettere di voler rinunciare all’esercizio egemonico su Kiev e dintorni, lasciandolo ai suoi competitors geopolitici. A quel punto la spartizione tra russi, europei e americani del Paese avrebbe sancito un indietreggiamento di Mosca rispetto alle circostanze antecedenti e, pertanto, una irrimediabile riduzione della sua sfera d’influenza. E’ presto per dire se la ciambella sia riuscita col buco, tenendo sempre conto degli scarti o degli sconvolgimenti che si producono tra pianificazione delle strategie e loro applicazioni pratiche, ma, al momento, i risultati sembrano più favorevoli ai russi che non agli statunitensi. Quest’ultimi hanno ottenuto di spaventare i paesi dell’area baltica e dell’ex patto di Varsavia entrati nell’Ue, i quali si sono fatti convincere a rinunciare ad altre fette di sovranità, concedendo alla Nato di dispiegare nuove truppe sul loro territorio. Il che è una sconfitta per l’Europa la quale si dimostra incapace di far valere la propria autorità nel suo perimetro politico e geografico. Come scrive giustamente Coen su Il Fatto (giornale e giornalista perfidamente antirussi): “[Putin] vuole mettere in discussione la governabilità dell’Ucraina, vuole cioè un cambiamento di potere a Kiev, un ritorno cioè all’ovile”. E poi, riportando quando affermato da Gazeta.ru: “Le frontiere geografiche di questo territorio qualificato zona di sicurezza nel piano di Putin sono ancora fluide, ma il loro significato geopolitico è evidente sia per la Russia che per l’Ucraina”. Prosegue, così, Coen: “…la dirigenza della Repubblica popolare del Donetsk (l’autoproclamata RPD) sta per avviare a Mosca dei colloqui per gestire l’erogazione di gas russo nel Donbass, secondo quanto ha dichiarato il ministro della Sicurezza della RPD, tale Leonid Baranov. Il gasdotto in questione passa nella regione di Lugansk per confluire in quella del Donetsk, e pure questo è un segnale ben preciso, e propagandistico: l’indipendenza energetica da Kiev. Come la volontà di entrare nell’area monetaria di Mosca, adottando il rublo”. Al giornalista non piace quello che è successo eppure è costretto a rilevarne la portata. Ora, alcuni capi militari della Nuovarussia, come Mozgovoy, non vogliono o fingono di non accettare questi accordi. Pare che ci sia stato pure un tentativo di golpe contro gli attuali gerenti novorussi. Se si tratta di tattica per vedere e studiare gli ulteriori sviluppi degli eventi questo è accettabile. Se non si tratta di ciò, va purtroppo a riproporsi quell’eterna manifestazione di avventurismo dei ribelli che non sanno fermarsi di fronte all’evidenza dei fatti, la quale in molte occasioni, o quasi tutte, ha condotto i sognatori armati, pieni di buoni intenzioni ma privi di pragmatismo, a fare una brutta fine, anche per mano amica. Valutiamo e meditiamo.
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