Perdonate l'utilizzo dell'espressione, volutamente ironica, di una delle più belle preghiere che Gesù ci lasciato e che i Vangeli riportano, per raccontare invece di un evento molto più prosaico.
E mi riferisco al marchio commerciale Woolworths, una catena di supermercati di origine britannica che, dal vicino Sudafrica, ha preso accordi di penetrazione, con i rispettivi governi, tanto in Uganda quanto in Tanzania.
La cosa di per sè sarebbe, e forse lo è , un fatto positivo sempre che le priorità in questi Paesi fossero realmente quelle d' incentivare i consumi di un popolo, che ha già tutto e può concedersi un po' di superfluo anch'esso.
Costi quel che costi.
Insomma senza badare a spese. Proprio come, un tempo, dicevano le nostre mamme nelle grandi occasioni quando volevano fare la loro bella figura..
Ma, almeno per quel che riguarda la Tanzania, e non di meno io ritengo lo sarà per l'Uganda, c'è tantissimo da fare ancora (lavoro certo e sopratutto salario giusto per tutti) perché, a livello di reddito familiare, le diseguaglianze tra ricchi e poverissimi si riducano e tutti, o almeno quasi tutti, possano mediamente avere un accesso agevole ai beni di consumo come accade nei Paesi occidentali.
Sul versante strettamente degli "affari", diversa angolazione ovviamente, questa joint-venture resta comunque, invece, un segnale positivo per l'Africa in quanto significa che ci sono investitori in loco disponibili e cospicui capitali , che possono essere premessa di sviluppo economico per il Continente in generale e, in particolare, in questo caso,oggi, per la Tanzania e per l'Uganda.
Il Sudafrica resta fuori dal discorso, perché non è mai stato, in Africa, un Paese da "terzo mondo" nell'accezione piuttosto offensiva ,che noi diamo a questa espressione, quando l'adoperiamo, e nonostante siano state e siano presenti anche lì , oggi come ieri,vistose contraddizioni quanto a ricchezza e a povertà.
Ritornando piuttosto al nostro evento, l'uomo scelto dalla grande catena di distribuzione quale partner in affari è il businessman tanzaniano Alì Mufuruki, il quale conosce molto bene il marchio, a causa di precedenti rapporti d'affari intrattenuti con il gruppo.
Ed è stato proprio lui che, a Dar es Salaam,ha annunciato,infatti, giorni fa, ufficialmente la "cosa" attraverso i media locali, insieme a tale Glenn Gilzean, responsabile della vendita al dettaglio, propagandandola quasi come una panacea per l'Africa tutta e per il suo Paese in particolare.
Insomma l'ennesimo sviluppo africano che, per forza di cose, passa, anche stavolta, ahimé, attraverso la colonizzazione commerciale, dando possibilmente un colpo di spugna a certe peculiarità lavorative e di mestiere, che farebbero invece dell'Africa in generale , nel mondo e per il mondo , un "qualcosa" di veramente unico e speciale, nel rispetto delle sue tradizioni e della sua cultura.
Penso, ad esempio ad un'agricoltura sostenibile e allo slow-food.Penso al potenziamento dell'artigianato. Il mio pensiero immagina un turismo rispettoso dell'ambiente naturale e della gente che vi abita.
E la mia, credetemi, non è nè nostalgia, né apologia del mito del buon selvaggio.
A cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)
Il prezzo di un progresso che non risparmia nenache il Continente nero e che, per me, si chiama omologazione.