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Dagherrotopia – alessia d’errigo

Creato il 12 gennaio 2013 da Wsf

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Nel libro d”esordio di Alessia D’Errigo, Carne d’Aquiloni,  si mettono in relazione i versi come delle tessere eccentriche di una visione sdoppiata fra l’io di un diario intimistico e una terza persona singolare che non si allontana mai dalla misura della prima persona. “Sperando di conservarne solo la sostanza: che è il mio (d)io“, l’ispirazione è fissata in pochi cardini su cui costruire l’intera resa poetica ed estetica.  L’io narrante crea il parametro del mondo, dal prologo all’epilogo. Un contenuto poetico  che viene mostrato con l’indispensabilità dell’emozione dalla presenza dell’io narrante che ricompone il mondo, chiamandosi nelle cose, fin dalla genesi della presenza della voce, e la voce è brusca quando non impostata dal fiato del diaframma, la voce è quella della natura senza paura di  Eva, in fondo l’ultima donna che ha visto l’Eden, il cui nome indica colei che suscita la vita, come   in “quell’inguine che è la storia dell’uomo dove riposano i santi e dio“. Si resta nel peccato a vivere, e si è senza nome o senza luoghi riconducibili alla salvezza,  al di là di quell’io allo sbaraglio,  che indica e che imbarazza nella sua volontà di dilatare l’esperienza del vivere, ma non nasconde nessuna delle sue emozioni, anzi le mostra come si mostrano senza vergogna, le piaghe.

fumo

una nebbia di avvoltoi pronti a divorare i mozziconi dei pensieri

un rimasuglio sterile di torti e ritorti compromessi

che fanno la fine che meritano

nel cesso”

All’epilogo si nasce e si è creatura del mondo, nessun altra volontà al di fuori di mettere al mondo in primis se stessi.

“vita

vita mia

un salmo scritto nel cuore

un rifugio di pelle

l’antenna del mio ventre”.

Le parole come “fiori vuoti che mettono radice nel mio grembo“, come nelle poesie della poetessa andalusa Juana Castro, come “la vita che si passa che quasi non si sa“, il canto è profondamente femminile, in questa raccolta, mentre i toni sono alti per reclamante il  potere su questo mondo.

Si abbassano quando si racconta e si dedica al figlio. Che la strada sia lunga è una lirica che gemma emozione.

“io non so seppellirti tra i dolori del mondo

dissapore di pelle

che s’espande e cerca

e cerca ancora tra i nodi e le trecce

(sulle fronde un passero assopito)

che la strada sia lunga

piccolo mondo – piccolo mio

cosa posso io se non cantarti in un canto

d’arcoamore la sua freccia sospinge

spezzando rime”.

La resa metrico\formale di Carne d’Aquilone, non è percorsa da tensioni o nervosismi.

Il ritmo è cantilenante, per volontà dell’autrice che utilizza continui ritornelli, creando delle libere ballate contemporanee, la cui epica è nella purezza dell’io che le narra. Ritornelli ed anche cori, in cui scorrono versi come episodi, di cui forse l’esordio ci avvisa già. Ritornano continue anche delle parole terra\\cielo\luna\sterile\nascita\stella\angelo. Sono le tessere di cui abbiamo già raccontato, quelle che servono per ricondurre il racconto poetico al diario intimo in cui si ricostruire il (dio) mondo della poeta. Che s’impone, che vuole e che non accetta compromessi perché

non c’è scampo alcuno alle parole verticali a cui è condotta la mente

si schiudono indomite e indomabili

lasciando per sempre una voragine aperta”.

da Carne d’aquiloni

CHIEDIMI PERDONO

girare nel tondo delle mani

girare le pose belle degli occhi

uno sgorgo salino di baci

di rivoli pieni e santi

girare nel tondo

nel mondo rotondo

che aspetta

l’incanto di vita

l’incanto di pelle

sola sommossa

sola e calma

dolente

informe

embrione-vita

(chiedimi perdono)

ERBAVOGLIO

ERBAVOGLIO

miraggio mio

miraggio sole

audace

porpora rossa

sangue mio

che il sole audace indora

pergamena tra le dita

pergamena di pelle scritta

scivolata

nell’asse-schiena-mondo

audace il sole indora

frattale cuore

frattale cuore mio evapora

(canzone d’autunno)

di foglie

di foglie e voglie colori stinge

indora il sole audace

dell’erbavoglio

il canto

image

Alessia D’Errigo

Ricercatrice in campo teatrale e cinematografico è al suo primo libro di poesie.

Romana, dopo un percorso classico come attrice inizia una personale ricerca sull’atto scenico e sulla reale necessità del suo manifestarsi. Lavora molto spesso riscrivendo o in totale improvvisazione sulle figura più importanti della drammaturgia teatrale (Ibsen, Pasolini, Lorca, D’Annunzio…) e sui testi della Woolf, della Kane, della Dickinson, Merini, Sexton, Plath, Rosselli) portando in scena vari spettacoli. Da anni porta avanti un intenso lavoro sulla poesia portata e scritta. Successivamente la sua ricerca si estende anche verso il cinema e la performance video-live e nascono opere come Mater- per Yerma, Onde, Women di cui si occupa anche delle regia e del montaggio video. Nel 2004 insieme a Antonio Bilo Canella – ha fondato il Cineteatro di Roma.


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