Nel libro d”esordio di Alessia D’Errigo, Carne d’Aquiloni, si mettono in relazione i versi come delle tessere eccentriche di una visione sdoppiata fra l’io di un diario intimistico e una terza persona singolare che non si allontana mai dalla misura della prima persona. “Sperando di conservarne solo la sostanza: che è il mio (d)io“, l’ispirazione è fissata in pochi cardini su cui costruire l’intera resa poetica ed estetica. L’io narrante crea il parametro del mondo, dal prologo all’epilogo. Un contenuto poetico che viene mostrato con l’indispensabilità dell’emozione dalla presenza dell’io narrante che ricompone il mondo, chiamandosi nelle cose, fin dalla genesi della presenza della voce, e la voce è brusca quando non impostata dal fiato del diaframma, la voce è quella della natura senza paura di Eva, in fondo l’ultima donna che ha visto l’Eden, il cui nome indica colei che suscita la vita, come in “quell’inguine che è la storia dell’uomo dove riposano i santi e dio“. Si resta nel peccato a vivere, e si è senza nome o senza luoghi riconducibili alla salvezza, al di là di quell’io allo sbaraglio, che indica e che imbarazza nella sua volontà di dilatare l’esperienza del vivere, ma non nasconde nessuna delle sue emozioni, anzi le mostra come si mostrano senza vergogna, le piaghe.
“fumo
una nebbia di avvoltoi pronti a divorare i mozziconi dei pensieri
un rimasuglio sterile di torti e ritorti compromessi
che fanno la fine che meritano
nel cesso”
All’epilogo si nasce e si è creatura del mondo, nessun altra volontà al di fuori di mettere al mondo in primis se stessi.
“vita
vita mia
un salmo scritto nel cuore
un rifugio di pelle
l’antenna del mio ventre”.
Le parole come “fiori vuoti che mettono radice nel mio grembo“, come nelle poesie della poetessa andalusa Juana Castro, come “la vita che si passa che quasi non si sa“, il canto è profondamente femminile, in questa raccolta, mentre i toni sono alti per reclamante il potere su questo mondo.
Si abbassano quando si racconta e si dedica al figlio. Che la strada sia lunga è una lirica che gemma emozione.
“io non so seppellirti tra i dolori del mondo
dissapore di pelle
che s’espande e cerca
e cerca ancora tra i nodi e le trecce
(sulle fronde un passero assopito)
che la strada sia lunga
piccolo mondo – piccolo mio
cosa posso io se non cantarti in un canto
d’arcoamore la sua freccia sospinge
spezzando rime”.
La resa metrico\formale di Carne d’Aquilone, non è percorsa da tensioni o nervosismi.
Il ritmo è cantilenante, per volontà dell’autrice che utilizza continui ritornelli, creando delle libere ballate contemporanee, la cui epica è nella purezza dell’io che le narra. Ritornelli ed anche cori, in cui scorrono versi come episodi, di cui forse l’esordio ci avvisa già. Ritornano continue anche delle parole terra\\cielo\luna\sterile\nascita\stella\angelo. Sono le tessere di cui abbiamo già raccontato, quelle che servono per ricondurre il racconto poetico al diario intimo in cui si ricostruire il (dio) mondo della poeta. Che s’impone, che vuole e che non accetta compromessi perché
“non c’è scampo alcuno alle parole verticali a cui è condotta la mente
si schiudono indomite e indomabili
lasciando per sempre una voragine aperta”.
da Carne d’aquiloniCHIEDIMI PERDONO
girare nel tondo delle mani
girare le pose belle degli occhi
uno sgorgo salino di baci
di rivoli pieni e santi
girare nel tondo
nel mondo rotondo
che aspetta
l’incanto di vita
l’incanto di pelle
sola sommossa
sola e calma
dolente
informe
embrione-vita
(chiedimi perdono)
ERBAVOGLIO
ERBAVOGLIO
miraggio mio
miraggio sole
audace
porpora rossa
sangue mio
che il sole audace indora
pergamena tra le dita
pergamena di pelle scritta
scivolata
nell’asse-schiena-mondo
audace il sole indora
frattale cuore
frattale cuore mio evapora
(canzone d’autunno)
di foglie
di foglie e voglie colori stinge
indora il sole audace
dell’erbavoglio
il canto
Alessia D’Errigo
Ricercatrice in campo teatrale e cinematografico è al suo primo libro di poesie.
Romana, dopo un percorso classico come attrice inizia una personale ricerca sull’atto scenico e sulla reale necessità del suo manifestarsi. Lavora molto spesso riscrivendo o in totale improvvisazione sulle figura più importanti della drammaturgia teatrale (Ibsen, Pasolini, Lorca, D’Annunzio…) e sui testi della Woolf, della Kane, della Dickinson, Merini, Sexton, Plath, Rosselli) portando in scena vari spettacoli. Da anni porta avanti un intenso lavoro sulla poesia portata e scritta. Successivamente la sua ricerca si estende anche verso il cinema e la performance video-live e nascono opere come Mater- per Yerma, Onde, Women di cui si occupa anche delle regia e del montaggio video. Nel 2004 insieme a Antonio Bilo Canella – ha fondato il Cineteatro di Roma.