Anche la parola ha gesti transitori
e talvolta vive di omissioni
LILIANA ZINETTI
Accendere la parola per entrare nella vastità del mondo. Fare l’appello, l’appello delle cose, della natura, dei pensieri , e gli atti sono nudi, non dispongono di sovrastrutture confortanti, delle illusioni dei sentimenti.
Nelle liriche di Liliana Zinetti, ogni azione deve conquistare un tempo per essere riconosciuta, svelata, ben sapendo che non si riuscirà a trovare conforto o direzione, perché in ogni possibilità\vibrazione\stagione\sentimento c’è il tutto e il suo contrario. L’occhio indagatore si apre ai confini, apre le strade “dove finisce l’azzurro”, dove vibra la neve, e la sera può avere la natura di un aprile che ripete l’inverno. Distrutta ogni illusione rimane costante lo sguardo, che non si smarrisce ma misura il mondo: la pesa non si arrotola nella consolazione ma talvolta, una voce lontana, come di un coro di sagome abbozzate per troppo dolore, inaspettato, può comparire, e cantare la malinconia di quelle luci così chiare, di quelle ombre d’amore che non ci lasciano mai fino in fondo. La mimesi del fiore che sfoglia i ricordi, i luoghi che ci tengono come un ricordo, un qualcosa rimasto nel fondo incomprensibile. Non ci sorregge nessuna fede, il nulla è accanto e il poeta deve riempirlo con la verità del suo sguardo. Lo sguardo quindi è l’unica misura certa, l’unica possibile dell’indagine su tutto il Creato, da piccolo margine ai ghiacci eterni, dall’uomo accende la parola per (ri)trovare una luce da cui far discendere un colore (simbolo molto amato dalla poeta) o lo spetto di tutti i colori, segno primario di luce e di vita. La fonia scende a levigare le immagini, dubbiose ma non dome: i punti interrogativi invitano a cercare i suoi opposti, gli esclamativi, gli “eureka” che in qualche luogo del cuore, potrebbero germinare improvvisamente. La parola deve essere accesa, abbiamo già scritto. “Tu mi chiedi cosa sia la poesia - risponde Liliana Zinetti a WSF – mi chiedi un’idea mia di poetica, ecco, io credo vi siano domande che è inutile porsi, perché non abbiamo una risposta. Come disse la Szymborska, io non so cos’è la poesia, ma il suo esistere nei miei giorni li rende migliori. Definirla non è possibile, poiché sono molte le definizioni che si possono dare, comunque tutte insufficienti. È forse il limite a cui tendiamo per un’inesausta ricerca di autenticità, di un senso in una società sempre più inautentica. Come dice Heidegger L’uomo posto di fronte alle scelte che deve compiere, ha dapprima una conoscenza ontica del mondo, cioè lo assume come dato, poi però riflettendo si perviene ad una conoscenza ontologica cioè delle strutture dell’esserci che danno un senso al mondo. La poesia, credo, sollecita il passaggio dall’ontico all’ontologico” L’essere cosa, in ogni luogo, in ogni stagione, in ogni sentimento, puri, ricordando anche che dobbiamo imparare la distanza, subirla è il dolore”.
POESIE SCELTE
(ad un mondo crudele e rozzo
ad un Dio che non ci ha salvato
Anna Achmatova)
Fu questo. Il luogo
cercava i suoi confini, l’aperto
entrava nel nome delle cose,
devastava i margini con secchi
rumori, rigettava nel nulla i giorni
fino al patto, fino a nessun amore.
Chiuso cerchio, la misura.
Battito oscuro di fronde e stelle
fredde. Ghiaccio di rami che saliva i vetri
con unghie affilate, strappava le ali agli uccelli.
Neve e vento, foglie putride.
C’era sangue ovunque, l’hai visto? Era una sera.
Gli alberi se ne andarono, volarono
in un vento scurissimo, senza nome.
Se scrivo ciò che sento è perché così facendo
abbasso la febbre di sentire.
F. Pessoa
I
Verso il margine. Fruga l’aperto, il duro
cielo di novembre, qualcosa rimasto
nel fondo incomprensibile. Il tempo osserva.
Polvere e petali, ghiacci eterni.
Alla fine dei nomi forme senza tempo.
È poco, è tutto.
Pare strano non sanguini la luna.
II
Lingua di fiori, il sentiero ha colori
transitori. Per il nulla
fiorisce la rosa. Dove finisce l’azzurro
cade il nome, i libri scordano le parole.
Ripetere per la notte, per la distanza
delle mani, per il nulla
in fine?
III
Le strade si aprivano, ma
non era questo. Era trovare la direzione,
fosse pure la coda tesa di un gatto
o una piccola stella
o una cosa ancora senza nome
una nota da inventare
che inverasse la luce.
Come dire: una sera, una sera
d’ombre chiare sono stato qui, era
questo il luogo, la recinzione
traboccava di rose fiorite per nessuno.
***
Ritorniamo come
un vizio, una parola ripetuta,
nel ramo ardente di un’estate
cercata
nei luoghi che ci tengono
come un ricordo mai sopito, cieli
lasciati
vasti
cortili stanze viali
la strada
un lungo
ripetere gesti per il vuoto
che improvviso
ci coglie alle spalle
preme sulla fronte
in sere così che piove sulle mani
che ritornare sono le ginocchia
è disimparare anche il pianto,
il crollo secco di qualcosa
lungamente spezzato, sua eco
interminabile
verticale
PER ALICE
La carezza complice che mi sfiora la spalla
lo sguardo cobalto dove imparo il volo.
Ritrovano un ordine le cose
nella stretta felpata della sua mano
che tiene il mondo
come un cavalluccio di legno
e fiorisce primavere e attese
che ride promesse e acque trillanti
trottola di colori e stupore
ali della meraviglia
sei l’alba e il ritorno
sei l’assenso che gonfia maree
e colora la luna
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