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A James Isaac si devono operette horror come Jason X e Skinwalkers, pellicole in soldoni forse godibili ma nelle quali a qualche bella intuizione di sceneggiatura fanno da contraltare secchiate di sbavature tecniche nonché carenze fin troppo evidenti di messa in scena. Con grande sorpresa però, questo tenace filmaker - che sembrava destinato a ritornare senza troppi rimpianti nei meandri dell'oblio cinematografico - ha nel 2008 partorito un lungometraggio inaspettatamente valido e ottimamente strutturato che continua a mietere successi tra gli appassionati di un certo filone anche grazie al passaparola (il titolare del blog, preme segnalarlo, è uno degli ultimi arruolati nella truppa di sostenitori di questo film grazie al consiglio di Luca Conti nonché alle sempre esaustive recensioni di Malpertuis): s'intitola Pig Hunt, è girato a bassissimo budget con attori-Carneade (anche se fa rumore la compartecipazione per gli effetti speciali della rinomatissima Industrial Light & Magic) ed è capace di frullare più generi coevi contaminandoli in maniera intelligente e gustosa, senza risparmiarsi un po' di sane trovate splatter che fanno la gioia dei cultori. Prodotto fieramente derivativo, Pig Hunt mescola senza andare per il sottile i motivi del backwood-horror alla Non aprite quella porta con quelli d'impianto rednecks sul genere Un tranquillo weekend di paura (non facendosi mancare una spruzzata di Razorback, ovviamente, vista la concomitanza del tema). La storia vede quattro amici intorno ai vent'anni riunirsi per un fine settimana di caccia nel terreno di proprietà di uno di loro, John, ereditato da parenti strambi. A loro si accompagna indesiderata la ragazza di quest'ultimo, contraria a qualsiasi prova di machismo ma allo stesso tempo capace di usare fucili e pistole meglio di chiunque nel gruppo. Giunti nel bosco i cinque si uniscono a due bifolchi del luogo che paiono nutrire vecchi dissapori con John ma facendosi guidare da essi procedono nella caccia al cinghiale, scambiandosi racconti sulla mitica presenza del «Porcozilla», un bestione di una tonnellata dotata d'un particolare appetito per la carne umana. Gli animi si scalderanno con poco e la gente di città finirà per scontrarsi in maniera deflagrante con tutta la genia dei buzzurri della foresta mentre su tutto incombe la presenza esiziale della feroce belva assassina.
Il regista possiede un discreto talento nell'accorpare psicologie di personaggi sicuramente stereotipati facendoli però interagire secondo direttive plausibili e cadenzate, perseguendo un suo ritmo che è sì prevedibile ma mai scontato: quasi a dire che ok, avete già visto tutto questo ma io ve lo cucino ben bene e ve lo servo saporito come non mai! Alla duplice calamità dei rednecks e del Pigfoot la trama aggiunge inoltre un sovrappiù inatteso e quantomai interessante, nel bel mezzo della narrazione compare infatti una pazza famiglia di hippy (un maschione di colore assieme a un harem di donnine fameliche) che coltiva marijuana e massacra chiunque si avvicini alle piantagioni. Ben scritto, colorato, sporco e rumoroso, Pig Hunt è divertimento lercio e senza orpelli, si divora rapido come una pizza farcita delle peggiori robe piccanti e alla fine della visione si ha persino voglia di ruttare.