Dai.
Raccontami una favola.
Quelle favole che parlano di principesse e di draghi, di principi azzurrissimi e di castelli che si confondono con le nebbie.
Quelle storie che sai raccontarmi solo tu e che tradiscono un’innocenza che vuoi nascondere ad ogni costo.
Dai.
Cantami una canzone.
Quelle melodie che sussurrano di amore e di solitudine, di abbandono e di paura di speranza e di sospiri.
Cantami quella ballata che ci aggroviglia sempre lo stomaco e che suona anche quando non vuoi perché quando smette di risuonare nella stanza continua indomita nella testa.
Dai.
Scrivimi una poesia.
Una storia che racconti di me. E di te. E di quello che ci spaventa. E del milione di cose che ci uniscono e di quel paio di dettagli che ci dividono, raccontami quello che ci fa amare e che ci fa lasciare e che ci fa ritrovare e che ci fa riprendere.
Narrami tutto quello che ci fa odiare. E che non ci fa dimenticare.
Butta giù i fiumi di inchiostro e poi tirali via con la scolorina della paura e riscrivici sopra con la penna della speranza.
Dai.
Prendimi la mano.
Stringila forte anche se ti fa male.
Più forte anche se fa male a me.
Lasciami il segno. E un altro e poi ancora. Stringimi la mano e chiedimi di abbracciarti più forte e di continuare ancora e ancora, chiedimi di stritolare il tuo guscio fino a spezzarlo, fino a tirare fuori ogni molecola di te.
Dai.
Guardami negli occhi.
Apri la bocca per dire una parola e poi ripensaci. Sospira e arriccia il naso, sospira di nuovo ma continua a stare zitto, ti prego.
Guardami negli occhi e continua a guardarci dentro.
E non chiedere nulla perché non ti serve, e non chiedere scusa perché non ne hai motivo e non chiedere perché. E non chiederlo nemmeno a te.
Perché è così.
Dai.
Ti prego.
Dimmi addio.
Dillo soprattutto a te.
T.
(io penso che certi fili siano invisibili ed eterni. Però è bello illudersi di poterli spezzare)