Molto più ampia e dettagliata è la disanima di Maria Giovanna Missaggia che propongo qui di seguito.
Da parte mia confermo volentieri, a tutte e a tutti, il mio augurio di buona estate.
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Habent sua fata libelli, scriveva un grammatico latino, la cui frase, variamente interpretata, vorremmo qui intendere nel senso che anche le opere hanno un proprio, alle volte curioso, destino. Infatti, la cosa che più sorprende leggendo i testi presentati in questa plaquette, è che l’autrice, Valeria Serofilli, li abbia lasciati inediti, data la loro intensità e forza espressiva.
L’intitolazione della raccolta è solenne (Dai tempi), e ricorda quasi una formula biblica, lasciando di conseguenza intuire una prospettiva temporale che attraversi i secoli ed abbracci tutta la storia umana.
All’interno dei testi, infatti, si snodano temi auto-biografici, ma universali, incentrati sull’amore, in tutte le sue declinazioni, da quello verso i genitori, a quello per un uomo, a quello polimorfo e polisemico, trattato non a caso nel componimento eponimo di apertura, che si incarna ugualmente in una passione umana e terrena, ma che la fa diventare simbolo di una passione in senso molto più esteso. Essa è, infatti, tutt’ uno con la ricerca estetica ed attraversa lo spazio ed il tempo nelle multiformi epifanie che l’arte le fa assumere (Sei l’antico etrusco / che abbraccio sul sarcofago / il bizantino con me nel mosaico), diventando quasi irriconoscibile nella sua veste più trita e quotidiana, tranne che per chi è uso allo smascheramento delle cose e delle loro parvenze (Lo stesso che adesso / mi accompagna in ascensore / mentre clicca su fb “mi piace” o “commenta”).
In questa ricapitolazione dei molteplici travestimenti del principio di amore, a seconda delle epoche e delle civiltà, il tempo si muove tra preistoria (Sei lo stesso / dei tempi della clava/ che si ostina con la pietra focaia) e futuribile (e che su Marte mi sposerà all’istante / cercando un varco telematico al consenso) .
La riflessione sul tempo domina anche la lirica dedicata al padre, il cui incipit recepisce il ritmo montaliano di A mia madre (Ora che il coro delle coturnici /
ti blandisce dal sonno eterno ; e così la Serofilli: Ora che più manchi/ più non manchi / e la tua memoria a quest’ora / s’intride di luce ). L’autrice, però, come sempre coglie dai suoi autori più cari intonazioioni melodiche che fa rifluire in contesti metrici e lessicali estremamente personali, come avviene nei versi sopra ricordati, nei quali il termine “ora” non è semplice punto di avvio del testo ma torna più volte, sia in funziona avverbiale che di sostantivo, (quest’ora), e diventa il perno su cui ruota una struttura del tempo circolare, evidenziata dalle antitesi (Ora che più manchi/ più non manchi), dai verbi (incorniciare ; rifiorire ; ritorno bambina), e dall’augurio fatto al padre che la sua esistenza, e l’esistenza umana in genere, possa sfuggire alla linearità del tempo, e quindi alla sua irrecuperabilità, e ricongiungersi, invece, al suo inizio, come avviene all’autrice, che riesce a rievocare la propria infanzia ed a sovrapporre presente e passato grazie alla forza del sentimento ( ritorno bambina, fresca e fragile / a scrivere “padre mio, ti voglio bene”.)
Rievoca nuovamente simboli religiosi e sacri il Fornaio in cui il racconto della Genesi sulla creazione dell’uomo ed il racconto evangelico della divisione del pane tra i discepoli da parte di Cristo si sovrappongono e si travestono sotto i toni scherzosi di sorridente favola. Ritorna, nei versi, un accostamento caro alla Serofilli, quello del pane e della poesia, solo che qui, a differenza che in Amalgama, il pane non è più la poesia, ma il poeta stesso, per cui, attraverso la circolarità delle immagini e dei significati già altra volta notata tra le varie raccolte dell’autrice, il processo descritto è quello della poesia che si fa uomo (Pezzi più grossi / cartilagine rigenerante / azione/ non azione), mentre il pane ne diventa il simbolo più sacro (pane vita fosse / per me questa Poesia) e bene condiviso, al quale attingono anche i bambini sui banchi di scuola (o per sgualcite merende sui banchi / ricreazione).
Di grande efficacia è la tecnica compositiva per cui l’mpasto del pane, ossia la personalità dell’autrice, si traduce, a livello lessicale, in impasto di termini tratti dal repertorio più comune, che acquistano, grazie alla sapienza degli accostamenti, funzione metaforica o allegorizzante (vi mise sale / lievito, sesamo di giudizio / smalto rosso / di zenzero un pizzico ).
Gli altri componimenti annotano, con delicatezza di toni e finezza di analisi, momenti di un amore intensamente vissuto, collocato nella cornice dei minuti fatti quotidiani. Dal punto di vista stilistico, la Serofilli si direbbe che esplorasse la capacità della natura lirica del linguaggio poetico di resistere al contatto con termini o contesti desublimanti: dal linguaggio commerciale delle agenzie di viaggi (Ti porterei alle Canarie [...] / Alle Seichelles), a quello delle trite incombenze quotidiane (Aspetti pure tutto il resto: /i piatti da lavare / il pavimento), cui si aggiungono le parole di un immaginario poetico ingenuamente sentimentale (e , ape golosa / mi poso sul tuo petto / come su rosa ; oppure: e inalo il tuo profumo / come rosa). Con perizia maliziosa l’autrice intesse tali materiali in una trama di contenuti, parole e strutture ritmiche di diverso segno, che compongono un linguaggio ancora una volta allegorico, denso di echi letterari, dalla montaliana bufera trasferita ad esprimere il turbine della routine quotidiana, alla sabiana “amorosa spina” (A spina controvento rispondo / “ niente in confronto / alla bufera di ogni giorno”).
Ne scaturisce, per contrasto , un effetto di preziosismo e di sperimentalismo insieme, estremamente personale ed innovativo, cui contribuisce, sotto il profilo grafico, l’inserimento in mezzo ai versi di una barra che pausa il ritmo, enfatizza le antitetesi o le giustapposizioni, abbrevia o allunga lo scorrimento della lettura.
Un triplice vincolo amoroso tra madre, figlia e padre viene intrecciato nel testo Aprilia Luna Rossa, che crea attorno a queste tre figure un’ambientazione da rito misterico, sullo sfondo suggestivo e notturno di una luna rossa sospesa sopra un fosso. Il tono quasi di preghiera pagana richiama reminiscenze classiche sia nel cenno alle ghirlande sui capelli, sia nella formula omerica di un’apposizione utilizzata in funzione aggettivale (Lui sarà là ad aspettarci / petto dolce su cui planare la pelle ).
Il limite tra prosa e poesia, infine, viene assottigliato, quasi con un senso di sfida, nelle bellissime prose incentrate ancora una volta sul faticoso processo di creazione artistica (una sorta di commento lirico al romanzo di Jack London Martin Eden) e sulla figura della madre.
In questo secondo testo, la realtà quotidiana, in tutte le sue minute brighe ed anche le sue inesorabili desolazioni, si trasfigura ad opera di una scrittura che unisce il nitore del tratto all’inusualità dello sguardo con cui viene analizzato il rapporto tra la madre e la figlia. Il legame di amore diventa lo scandaglio di un’esperienza di vita, quella materna, che, pur confinata all’interno di spazi chiusi e circoscritti, sa abbracciare prospettive ampie e variegate sul mondo e sugli esseri umani, circondandosi di una minuziosa rete di oggetti e di rituali, come la tombola domenicale, che hanno la funzione di scandire i tempi e le abitudini di quello che l’autrice definisce “un paramondo”, ossia un universo isolato, con proprie leggi e proprie regole, in cui regna, a dispetto dei dati dolorosi dell’esperienza umana, un positivo solare ottimismo. La parola sole e i suoi derivati ricorrono del resto ben cinque volte nel breve giro del racconto, incluso il titolo, ed evidenziano il volontaristico sottrarsi della madre alle logiche ed alle costrizioni del mondo esterno, il suo instaurare norme diverse perfino nel gioco (per non togliere la vincita a noi), o addirittura nella meteorologia (“Qui c’è il sole!”), riconoscendo come unica suprema legge quella di un amore che racchiude madre, figlia e nipote nel ciclo del tempo e delle generazioni.
Maria Giovanna Missaggia (prefazione al volume)