Leggiamo con interesse una notizia un po’ insolita sul tema dell’identità di genere. Una coppia canadese, genitori di due bambini, hanno deciso di non rivelare al mondo il sesso biologico del loro terzogenito, di 4 mesi e di nome “Storm”. L’apparato genitale, assicurano, è apposto: semplicemente, i genitori hanno spiegato di voler lasciare al figlio la libertà di definirsi senza confrontarsi con i condizionamenti di genere imposti dalla società.
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A conoscere il sesso biologico di Storm sarebbero solo i suoi fratellini, un amico intimo della famiglia e le due ostetriche coinvolte nel parto a casa. Ciò che è dato sapere, oltre a questa notizia, riguarda la “libertà” di genere con cui sono stati cresciuti i figli maggiori: Jazz, un maschio di 5 anni e Kio, una femmina di 2.
Nomi neutri, liberi di vestirsi e di giocare come vogliono e con chi e cosa vogliono. E che inevitabilmente sono arrivati, grazie anche agli input di nonni, zii e vicini, a definirsi automaticamente maschio e femmina.
Cosa pensare di questa vicenda, dopo le prime impressioni?
Il caso solleva interrogativi di vario genere attorno a dilemmi come cultura e natura, libertà e controllo, ma anche dubbi sui limiti e sulle conseguenze di un’educazione insolita che non si assoggetta ai normali codici sociali.
In che senso un bambino tenuto all’oscuro di una propria connotazione, per lo più fondamentale come quella sessuale, è libero? Da cosa è libero un bambino che non sa come definirsi?
Cerchiamo di rispondere attraverso alcuni punti di riferimento della psicologia evolutiva. Il bisogno di avere punti chiari sulla propria identità è fondante per la crescita psicofisica di un bambino. Al genitore, tra l’altro, spetta il compito di assicurare al piccolo gli strumenti per conoscersi ed autorivelarsi, in modo da inserirsi e confrontarsi nella società in cui vive.
Imparare ad integrarsi, col senso della propria differenza e valore, non vuol dire necessariamente adattarsi in modo passivo. Piuttosto, è nella relazione con l’altro che cresce il senso della propria unicità e, assieme, quello della somiglianza, tanto importante per sentirsi parte di un gruppo e rafforzare la propria autostima.
Il non mettere limiti – come quelli corporei – per certi versi potrebbe sembrare un dono di libertà: senza rendersene conto, però, i genitori sono i primi a stabilire dei limiti. A ben guardare, infatti, la mancanza di definizione biologica corrisponde ad una volontà dei genitori - la prima società di ogni bambino – in cui c’è già un preciso condizionamento.
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Fin dalla nascita il genitore si occupa – volente o nolente – di decidere il vestito o il taglio dei capelli al posto del figlio, per non parlare dell’educazione scolastica o quella alimentare. Tutto il bagaglio di nozioni, usi e costumi trasmessi al figlio rappresentano già un forte ed inevitabile condizionamento, per quanto ribelle rispetto ai dettami vigenti. Ciò che chiamiamo autonomia, invece, riguarda la libera scelta di conservare o rifiutare i condizionamenti ricevuti, in base al proprio desiderio di essere al mondo. Un bambino piccolo ancora non può essere “libero”: semmai, è lasciato solo o indirizzato, in modi che potranno essere più o meno positivi per lui/lei.
Con quali incertezze e smarrimenti si ritroverà il bimbo/bimba in questione, se non ha potuto rivelarsi al mondo per la sua biologicità?
Ci si chiede anche per quanto tempo potranno tenerla nascosta. Considerando che ogni bambino sperimenta il proprio corpo e osserva quello degli altri.
Indispensabile distinguere tra sesso e genere allora. Se il sesso è SOLO di due tipi (maschio e femmina), il genere ha diverse sfumature e modalità di esprimere lo stesso genere di elezione o appartenenza.
Negare è diverso dal liberare. Quando auspichiamo un mondo più libero da imposizioni di genere non intendiamo occultare il sesso. Piuttosto, sarebbe bello conoscere sempre più modi di essere maschio o femmina, esprimersi con più sfumature di colori e differenze, rispetto ai rigidi ruoli di genere.
E in questo ci viene in aiuto il filone di Gender e Queer Studies a cui rimandiamo volentieri (Es. Judith “Jack” Halberstam, Judith Butler, Leslie Feinberg per citare solo alcun*).
Intanto, aspettiamo di sapere che ne pensate in proposito.
A cura delle dott.sse Ilaria Peter Patrioli e Paola Biondi