Nei passaggi che le forme di dominio hanno subito nel corso della storia, dal dominio sul corpo nel mondo antico a quello sull’anima nel mondo feudale, dal dominio sull’anima a quello sulla prestazione nel mondo moderno, e, infine, da quest’ultimo al dominio sul Sé del mondo attuale, che poi si traduce in una sorta di auto-dominio, possiamo analizzare come il contenuto dell’azione di potere si sia trasformato, passando rispettivamente da una forma di potere coercitivo a una forma di potere suggestivo, e, infine, a una forma di potere induttivo; inoltre, possiamo analizzare sia come il corpo abbia subito una sorta di traslazione sia come sia cambiata la forma del surplus. Nel sistema antico di relazione, il corpo era un “oggetto” in possesso dell’apparato politico-militare, che ne disponeva secondo le proprie esigenze. Il modo in cui il corpo doveva essere regolato veniva deciso direttamente da quell’apparato. Nel sistema feudale di relazione il corpo diventa un possesso dell’individuo, l’anima, invece, era un “oggetto” regolato all’apparato simbolico-religioso, che lo controllava secondo i suoi articoli di fede. L’individuo aveva il compito di controllare corpo, come aveva il compito di lavorare la terra o di allevare animali, ma non aveva il potere di decidere la loro destinazione, cioè lo scopo e il senso di questo possesso non era nelle mani del suo possessore. L’individuo “proprietario” del corpo non poteva disporre della sua anima, alla cui cura era corpo è affidato: se l’anima non riusciva a tenere a freno le pulsioni del corpo, voleva dire che l’anima era debole, e quindi non capace di controllarne le pulsioni. Gli abusi del corpo o sul corpo erano causati da un anima che si conduce senza rettitudine. In pratica, le dissipazioni del corpo, i suoi eccessi, era da attribuire non all’individuo in quanto tale, ma alla debolezza della sua anima. Lo smarrimento dell’anima provocava una caduta nel peccato. A cosa era riconducibile questo smarrimento dell’anima? Al prevalere delle esigenze del corpo su quelle dell’anima. In fondo, i sette peccati capitali sono riconducibili nella sostanza a un eccesso del corpo, cioè a un eccesso di malessere/benessere materiale rispetto a un equilibrio spirituale: l’ira, l’invidia o l’accidia sono sintomi di un malessere del corpo, così come la superbia, la gola, l’avarizia o la lussuria sono sintomi di un benessere materiale o corporale, seppur fugace o temporaneo.
È nel sistema feudale, dominato dalla visione cristiana del mondo, che si conosce la netta separazione tra l’anima e il corpo, sconosciuta al mondo antico. Qui il corpo era specchio dell’anima (kalòs kài agathòs), cioè il corpo si presentava come il rivestimento esteriore dell’anima, così come l’anima era la natura interiore del corpo. Un anima ben retta sa controllare il proprio corpo. Un’anima debole corrompe il proprio corpo. Non sono dunque le pulsioni del corpo ad essere responsabili della propria condotta lasciva, ma la mancanza di virtù dell’anima. In altri termini, in questa forma di dominio si ha una subordinazione netta del corpo ai poteri dell’anima. Ed è proprio in ragione di questa subordinazione che prendono sempre vigore le “pratiche ascetiche”: l’anima va educata alla rinuncia, l’anima va disciplinata.
Nel sistema moderno di dominio, il controllo si sposta sulla prestazione, regolata dal mercato, che ne decide i requisiti e le qualità. Il soggetto diventa responsabile sia del corpo che della sua coscienza, ma entrambe sono al servizio della prestazione. Nasce in questo sistema il concetto moderno di “individuo”. Ora è l’individuo che può decidere come condurre il suo corpo e la sua coscienza, ma non può decidere come condurre una prestazione richiesta dal mercato. La moderna divisione sociale del lavoro ha comportato una netta separazione tra la prestazione e la persona che la effettua. Nella società moderna, la prestazione non è più una funzione o una espressione dell’individuo che la attua. La prestazione, ossia il compito da svolgere, si svincola completamente dalle “qualità” intrinseche di chi la compie. Inoltre, quanto più essa viene regolata e semplificata tanto più può essere compiuta da chiunque, a prescindere dal sesso, dall’età o dalla nazionalità (che sono qualità intrinseche dell’individuo). Ciò che conta nella prestazione è la sua effettiva realizzazione. Pertanto il corpo e la coscienza sono a completa disposizione del “prestatore” d’opera, ma ciò di cui egli non dispone sono i requisiti richiesta dalla prestazione, le conoscenze, le capacità e le competenze, che sono appunto stabilite dal mercato. Le qualità richieste non sono più intrinseche al soggetto che deve effettuarla, ma sono intrinseche alla stessa prestazione; tutt’al più il soggetto deve limitarsi a appropriarsene per realizzare al meglio la prestazione richiesta. Dunque, sia la coscienza che il corpo sono diretti dal tipo di prestazione che la persona deve svolgere: per fare un esempio, l’operaio di una fabbrica non può dissipare il suo corpo abbruttendosi nell’alcol, per la semplice ragione che mette a repentaglio la sua prestazione. Per il resto, se può, può anche ingozzarsi, invidiare il prossimo, ma non può darsi all’ozio, anzi anche nel cosiddetto “tempo libero” (tempo del non lavoro) deve saper impiegare bene il suo tempo, magari praticando attività che “ritemprano” il corpo e lo spirito. In pratica, la condotta del corpo e della coscienza sono in funzione della prestazione che l’individuo deve svolgere. Nella fase attuale, il corpo, la coscienza e la prestazione sono in funzione del Sé. Il mercato non esige più una prestazione standard o rigida. Da questo punto di vista pensiamo, ad esempio, al modello di produzione fordista-taylorista che ha dominato lungo tutto l’arco del XX secolo. La prestazione che oggi il mercato esige è flessibile, molteplice, variegata. Insomma, la prestazione odierna ha una forma “elastica”, cioè è una prestazione che deve adattarsi di volta in volta alle esigenze del mercato. Pertanto, nelle condizioni attuali, essendo l’individuo ad avere cura della prestazione da effettuare, il suo Sé non può essere rigido. Un Sé rigido è un Sé costruito su un modello standardizzato, su un modello universalizzato, con una identità standardizzata, una formazione standardizzata, una conoscenza standardizzata, e così via. Il Sé che oggi la società impone è un Sé multiplo: è un Sé che può interagire sincronicamente con molteplici realtà, mostrando di volta in volta il lato che meglio può essere traslato in un particolare contesto. Il modello su cui il Sé si costruisce non è più elaborato dalla società nel suo insieme. Infatti, la società può elaborare un tipo di modello unico valido per una molteplicità di individuo. Oggi ci troviamo di fronte al problema opposto: bisogna elaborare una molteplicità di modelli valida per un unico individuo. Questa molteplicità di modelli che l’individuo può elaborare dipende dalle risorse di cui dispone: più risorse sono disponibili più modelli di Sé si possono elaborare; più si dispone di modelli molteplici più risorse si possono acquisire. Inoltre, il problema che i nostri tempi impongono è che questi modelli, essendo molteplici, non si dispongono più su una scala gerarchica di valori: come la facce di un cubo sono tutte uguali e servono a definire la sua identità, così i molteplici modelli servono a definire il proprio Sé.